Il Muro del Canto, l’anima folk-rock della musica romana
Intervista a Daniele Coccia, vocalist del gruppo capitolino. Presentato lo scorso aprile il singolo “Figli come noi”
La band romana ha presentato lo scorso aprile il nuovo singolo “Figli come noi”, pezzo che tratta il delicato tema degli abusi in divisa e che mette al centro non la denuncia retorica e generalista ma le vittime. Un progetto importante, una voce che ha bisogno di essere ascoltata in un momento come questo perché rischia di essere annullata dal fragore della crisi politico- economica. Il Muro del Canto è una delle maggiori formazioni nel panorama alternativo romano attuale, un perfetto mix di folk popolaresco, rock elettroacustico, atmosfere dark in un paesaggio morriconiano dagli echi western, il tutto in un’impostazione cantautorale profondamente legata alla tradizione musicale romana. Ambientazione fosca e solenne, quasi epica allo stesso tempo perfettamente calata nella società attuale che narra il presente con lo sguardo nutrito dal passato, in un sound variegato e in una poetica viscerale e onirica. Si canta la doppia anima di Roma, i suoi paradossi, i suoi problemi surreali che si scontrano con la bellezza disarmante. Di questo e di molto altro abbiamo parlato nell’intervista che segue con Daniele Coccia, vocalist del gruppo capitolino.
Impostazione cantautorale, influenze rock, innesti folk, sono solo alcune delle sfaccettature del vostro sound particolare ed eclettico. Qual è stata la vostra formazione artistica, quali sono stati i maggiori influssi musicali?
In particolare io, il chitarrista Giancarlo o anche il fisarmonicista veniamo da un passato rock se non addirittura metal; poi un grande peso nella nostra formazione lo hanno avuto certamente i grandi cantautori italiani, da De André a Gaber, da Tenco a Paolo Conte, a Piero Ciampi. Profondo anche il legame con il folk americano, da Bob Dylan a Nick Cave tra i tanti. Suonando insieme abbiamo scoperto di condividere anche una certa influenza morriconiana, amiamo il sound western. Non tralascerei neanche tutto l’aspetto più dark, non tanto dal punto di vista del sound quanto dell’immaginario, delle atmosfere che ci piace ricreare nell’impostazione letteraria e narrativa. Poi non escludiamo tutta la tradizione romana che è molto forte.
L'ultimo singolo “Figli come noi” affronta il delicato tema degli abusi compiuti dalle forze dell'ordine in Italia. Ci racconti come è nato il progetto, come è stato realizzato?
Il testo, scritto con i Montelupo, è un progetto di recupero della canzone anarchica voluto da me, Eric Caldironi, Alessandro Marinelli e Nicolò Pagani; io poi ho pensato di tradurre il pezzo anche in romano e lo abbiamo suonato con il Muro del Canto, quindi con un impianto di più ampio respiro, con più musicisti e quindi con una resa ritmica più corposa e coinvolgente in grado di far arrivare il messaggio ad un pubblico vasto. L’idea di parlare di questo delicato tema è nata dall’osservazione dei recenti fatti di cronaca, in particolare dal processo Aldrovandi. Abbiamo deciso di far uscire il pezzo come singolo perché ci tenevamo molto, quindi non volevamo relegarlo ad una delle tracce del disco bensì costruirci sopra un progetto che coinvolgesse anche ACAD, l’associazione contro gli abusi in divisa. Questa onlus ci ha messo in contatto con le famiglie aderenti grazie alle quali abbiamo conosciuto molte storie. Importanti anche le collaborazioni del video presentato ad aprile al Festival Internazionale di Giornalismo: Piotta, Luca degli Assalti Frontali, Elio Germano, Don Pasta, Chef Rubio e molti altri con la regia di Marcello Saurino. Non volevamo realizzare un progetto retorico sul tema o generalizzare sulle forze armate, ma sicuramente dare risalto alle vittime, a chi non ha più voce per denunciare.
Credete che musica e parole possano davvero influire sulla storia e sulla societá, modificandone il corso, incidendo sulle coscienze? In che modo?
Quando si vive un momento complicato al livello civile come questo si rischia che i discorsi sulla crisi economica coprano tutti gli altri temi. Chi come noi ha la possibilità di usare un microfono e di veicolare dei messaggi, ha il dovere di far emergere anche le altre problematiche della società che passano in secondo piano ma che hanno lo stesso diritto delle altre di essere affrontate. Un po’ come facevano i cantautori negli anni ’70, come Venditti, Guccini, De Gregori, i quali denunciavano cantando e che proprio oggi invece si sono fermati.
Il prossimo 12 giugno parteciperete all'interessante iniziativa “Nessun dorma”, in occasione del Guidonia Rock Fest, un appuntamento totalmente gratuito che vedrà esibirsi i maggiori esponenti del rock alternativo italiano del momento. Una rara occasione di libera fruizione della musica in un momento complicato come questo. Cosa pensate in merito ad eventi come questo?
Pensiamo che siano eventi vitali in Italia in questo momento; Guidonia è una provincia di Roma, l’accesso alla Capitale è semplice, tuttavia c’è grande carenza di cultura alternativa in queste zone limitrofe. Iniziative come questa, dunque, sono fondamentali per avvicinare i giovani a questo genere musicale che non trova spazi nelle radio, nella tv o sui grandi palchi. Personalmente, poi, mi sento onorato di partecipare a questo appuntamento insieme a nomi importanti della scena musicale alternativa attuale.
La vostra musica è impregnata di una sorta di ironia amara, di disincanto sognante e di dolce cinismo nel ritratto di una cittá surreale nei suoi paradossi come è Roma. Che rapporto avete con la Capitale e cosa volete tirare fuori cantandola?
Noi cerchiamo di rappresentare il doppio volto di Roma, quello positivo e quello negativo, in modo trasparente e sincero. Ci fa piacere raccontare anche il romano, quello “buono”, quello di una volta. Si tratta di una città complicata, di una metropoli con tante problematiche, nella quale è molto difficile creare una famiglia e costruire un futuro. Detto questo il paradosso di Roma sta nella sua imponenza, nel suo fascino e nella sua evidente bellezza che si contrappone a tutte le difficoltà pratiche.
Legame con la tradizione, con la cultura popolare, con il dialetto ma anche profonda coscienza della contemporaneitá con testi che trattano esattamente l'attualità e che prendono spunto dai fatti di cronaca quotidiani. Quanto passato e quanto presente c'è nella vostra arte, quale è il giusto compromesso?
Il compromesso sta nell’osservazione della realtà ma con lo sguardo del passato, guardiamo il presente così come lo abbiamo recepito dalle nostre famiglie, dai nostri quartieri che con la loro storia ci hanno influenzato. Viviamo l’attualità e ne siamo coscienti anche grazie a quel legame con il passato che permette di filtrare e di analizzare in profondità. Noi esprimiamo quello che siamo e quello che eravamo; anche il logo del Muro del Canto è formato da radici forti e visibili e dall’albero secco e foglie piccole, un po’ quello che è Roma con le sue origini importanti e il suo presente indebolito. Noi cerchiamo di tirare fuori la parte buona che ancora c’è, il volto di chi produce e investe, di chi resiste e combatte tutti i giorni in maniera rabbiosa ma positiva.
Progetti futuri?
Stiamo terminando il nuovo disco che è praticamente tutto scritto, lo registreremo a settembre e dovrebbe uscire dopo Natale, probabilmente all’inizio del 2016. Stiamo lavorando, tra i vari concerti ed è quasi pronto. A noi piace molto e crediamo che ci darà grandi soddisfazioni al livello artistico.
Allora grazie e buon lavoro!
Grazie a voi!