Telecamere in casa, il Generale Rapetto: “Possono rubarvi qualsiasi informazione”
Il Comandante del Nucleo speciale frodi telematiche: “Fidarsi, è giusto ma non troppo. Necessaria una riflessione costante”
L’immagine, uno degli aspetti più dominanti dell’età contemporanea. Soprattutto se abbinata a dispositivi e apparecchiature di stampo tecnologico. Le telecamere sono presenti in qualunque posto, in molti degli oggetti di utilizzo quotidiano. Nel palmo della nostra mano, dislocato nei luoghi più impensabili. Nelle nostre strade, Nelle nostre vite, Nelle nostre abitudini.
Quanto questo incide nel nostro presente? Quanto il tasto rosso e la modalità di registrazione condizionano le nostre giornate? Qual è il grado e la possibilità di controllo? E soprattutto, quali sono pericoli che corriamo, avendo a che fare con queste apparecchiature? Abbiamo provato a determinarlo, intervistando Umberto Rapetto, Generale Italiano della Guardia di Finanza, in congedo dal 2012, già comandante del Nucleo speciale frodi telematiche e conduttore televisivo de “Il Verificatore“, in onda qualche anno fa su Rai 2.
Generale oggi siamo nell’era della telecamera collocata ovunque, cosa vuol dire questo in termini economici, sociologici e legati alla sicurezza?
“Cominciamo con l’aspetto economico. Costano sempre meno e quindi sono installabili per le più diverse necessità. Da abitazione, a traffico domestico e istituzionale. Giriamo in diversi supermercati e le troviamo occultate in qualsiasi anfratto. Abbiamo il desiderio di preoccuparci e al contempo consideriamo il fatto di essere osservati come un handicap. Il problema non è essere osservati ma il destino delle informazioni che ne deriva. Diviene un interesse del singolo e della collettività“.
Come possiamo fare oggi, se esiste un modo ovviamente, a fidarci delle telecamere?
“Un vecchio spot del settore alimentare diceva… vuol dire fiducia. Sono prodotti che in effetti possono lasciare il beneficio del dubbio. Le tecnologie possono avere performance straordinarie, ma non abbiamo mai contezza di quello che sono in grado di fare e fanno a nostra insaputa. Qualunque produzione di carattere elettronico contiene la possibilità di utilizzo a distanza e ospita le cosiddette back door. Si tratta di scorciatoie per fare manutenzione. Hanno in effetti un’origine che presenta connotazioni positive, ma un dipendente poi potrebbe tranquillamente entrare in qualunque telecamera del mondo, scrutando qualsiasi cosa e rubando qualsiasi informazione. Far affidamento, diverso da fidarsi, è giusto ma non troppo. E’ necessaria una riflessione costante“.
Che tipo di reati o effetti indesiderati possono derivare, anche inconsapevolmente?
“Condotte criminali diverse. Qualcuno potrebbe riuscire a individuare un IP, può riconoscere il luogo in cui qualcuno di suo interesse si trova e procedere con attività illecite. La telecamera può divenire lo strumento attraverso il quale si può capire che, per fare un esempio, un appartamento è vuoto. Magari se si osserva che è senza luce e rumori, dunque è vuoto. Chi ha cattive intenzioni può alterare lo scopo dello strumento“.
Potrebbe consigliare una sorta di pratica, come fosse un piccolo manuale di istruzioni?
“Il fatto di non installare dispositivi dello stesso produttore sarebbe saggio e molto utile. È in effetti scomodo, perché richiede più applicazioni o apparecchi, ma così, ciascun gestore è riconducibile a un solo dispositivo e non ne governa altri. È un elemento importante, che aiuta“.
La mia è una provocazione: sta cercando di dirmi che in passato, senza questi oggetti, era tutto molto più comodo?
“Era forse meglio, sì. La gente si incontrava, e si avevano più garanzie. Chi assisteva a un comportamento illecito allertava la polizia, ora questo non avviene. Perlomeno non con la stessa frequenza. Il senso civico rimane, ma la responsabilità viene così demandata ad altri“.