Il prossimo Papa visto da Palazzo Chigi: l’ombra lunga di Parolin sul Conclave
“Lavora in silenzio, sa muoversi tra gli equilibri, ha una visione del mondo ordinata, multilaterale ma non ideologica”, spiega una fonte vicina a Fratelli d’Italia

Cardinale Pietro Parolin
Nel cuore del Vaticano, tra affreschi millenari e silenzi che sanno di secoli, si sta preparando una delle elezioni più decisive per il futuro della Chiesa cattolica.
Un Conclave sempre più politico
Ma stavolta, forse più che in passato, l’interesse non arriva soltanto dai Sacri Palazzi. A meno di un chilometro da lì, anche a Palazzo Chigi si osserva, si ascolta, si mormora. Non ufficialmente, certo. Ma chi frequenta i palazzi della politica romana sa che una domanda torna sempre più spesso nei colloqui informali tra ministri, sherpa e consiglieri: chi sarà il prossimo Papa?
Non è solo una questione di fede o di dottrina. È anche – e forse soprattutto – una questione di equilibrio geopolitico, visione del mondo e rapporti con l’Europa. Ed è qui che, secondo fonti parlamentari ben addentro alle dinamiche vaticane, la premier Giorgia Meloni avrebbe già un nome chiaro in mente: Pietro Parolin.
Il “pragmatico silenzioso” che piace alla destra
Il Segretario di Stato vaticano è figura nota a chi mastica diplomazia. Ma è anche uno di quei nomi che non infiammano le cronache, perché da sempre Parolin ha scelto il profilo basso. Quasi invisibile nel dibattito pubblico, instancabile nelle relazioni internazionali. E questo, paradossalmente, è esattamente ciò che lo rende così apprezzato da alcuni settori della destra italiana.
“Lavora in silenzio, sa muoversi tra gli equilibri, ha una visione del mondo ordinata, multilaterale ma non ideologica”, spiega una fonte vicina a Fratelli d’Italia. In altre parole: non è Zuppi.
Il riferimento è al cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della CEI. Figura altrettanto influente, ma distante per stile e contenuti. Zuppi è legato alla Comunità di Sant’Egidio, alla stagione della solidarietà, al cattolicesimo del dialogo, spesso percepito come “progressista”. È sensibile ai temi dell’accoglienza, della povertà, dei diritti. Tutti valori che, pur nella loro nobiltà, a Palazzo Chigi si teme possano trasformarsi – in caso di un suo papato – in una voce istituzionale troppo dissonante rispetto alla linea di governo.
“Zuppi è rispettabile, ma rischia di diventare un punto di attrito”, confida un sottosegretario. “E il Papa, per come la vediamo noi, dovrebbe unire, non mettersi in rotta di collisione con chi governa”.
L’Osservatore politico oltre il Tevere
Naturalmente, la scelta del Papa resta un affare interno alla Chiesa. Il Conclave è impenetrabile, sorvegliato, protetto da regole e tradizioni che nessun potere temporale può realmente condizionare. Ma chi conosce la storia sa che la politica non è mai rimasta davvero fuori dalla Sistina. E anche oggi, le pressioni silenziose, gli appoggi sotterranei e le simpatie trasversali giocano un ruolo.
Il nome di Parolin, in questo scenario, si fa largo proprio per il suo profilo da “pontiere”. Ha gestito con abilità i rapporti con Mosca e Kiev, ha tenuto in equilibrio la posizione del Vaticano sul Medio Oriente, non ha mai perso il controllo davanti ai dossier più sensibili. È il prodotto di una Chiesa che non ama le accelerazioni mediatiche e che sa stare al mondo senza agitarlo. Ecco perché, nel mosaico dei papabili, è un volto che piace anche a Parigi, Berlino, Washington. E sì, anche a Roma.
Tra spiritualità e realpolitik
C’è una frase che torna spesso nei palazzi romani, a metà tra cinismo e consapevolezza: “La spiritualità è anche potere”. Non significa svilire la funzione del pontefice, ma riconoscere che un Papa può incidere sulla geopolitica più di un premier. E per un governo come quello attuale, che ha costruito il suo profilo sull’identità, sui confini, sulla sovranità, avere un interlocutore Oltretevere che non remi contro può fare una grande differenza.
D’altra parte, non è la prima volta che la politica italiana prova a sintonizzarsi col Conclave. È accaduto nel passato più o meno recente, spesso in modo indiretto, quasi mai dichiarato. Oggi, in un’epoca in cui i leader contano più delle ideologie e i simboli più delle strutture, anche il papato può diventare una variabile del gioco politico.
E allora si spiega quel sussurro che corre nei corridoi di Palazzo Chigi: “Parolin è una garanzia. Sa che le parole pesano. E sa quando non usarle”. Una dote che, nel mondo di oggi, vale oro.