Il Secolo breve: un bilancio problematico
Nessuna epoca precedente della storia umana aveva conosciuto una tale concentrazione di morte e violenza
Il Novecento è dietro di noi. Sono passati vent’anni dalla conclusione del secolo breve e dal suo problematico bilancio.
L’espressione “Secolo breve” proviene dal titolo di un famoso libro dello storico inglese Eric J. Hobsbawm. Il suo autore faceva iniziare il XX secolo con la Prima guerra mondiale, ossia con il 1914, e lo faceva terminare con il crollo del comunismo sovietico, nel 1991.
Rendendo così, di fatto, l’Ottocento e il secolo in cui siamo entrati, due secoli lunghi. Ed è plausibile e realistico affermare, con tutta sicurezza, che il XXI secolo, attraverso la crisi del Coronavirus, sta cominciando a mostrare i suoi artigli.
“Come disse il poeta T. S. Eliot, ‘Il mondo finisce in questo modo: non con il rumore di un’esplosione, ma con un fastidioso piagnisteo’, il Secolo breve è finito in tutti e due i modi” (Hobsbawm, dalla prefazione a “Il Secolo breve”).
Tecnica e totalitarismi
Con uno sguardo retrospettivo, è possibile dire che il XX secolo è stato caratterizzato da due eventi cruciali. La tecnica, ossia lo sviluppo tecnologico, da un lato. Le ideologie totalitarie dall’altro, ossia nazi-fascismo e comunismo (almeno nelle sue versioni sovietica e cinese).
Attraverso la mescolanza di questi due fenomeni capitali, è possibile spiegare tutti i principali avvenimenti del secolo. La Prima e la Seconda guerra mondiale, Auschwitz e i Gulag, la bomba atomica, la guerra fredda e i terrorismi rossi e neri.
Nessuna epoca precedente della storia umana aveva conosciuto una tale concentrazione di morte e violenza.
Massacri amministrativi
Seppure, infatti, stando ad un cenno di Hannah Arendt, nell’appendice al suo libro su Eichmann e la banalità del male del 1963, la storia umana, e quella antica in modo particolare, brulichino di stragi, la caratteristica precipua del Novecento è l’applicazione alle stesse della dimensione burocratico-amministrativa, ossia tecnica.
Delle volte, si ha la sensazione che il Novecento abbia prodotto morte, come si trattasse di un articolo di consumo, al pari di tutti gli altri. In un passo della prima parte di “Minima Moralia”, ossia risalente al 1944, Adorno scrive: “Normale è la morte” (aforisma 33).
Questo stato di cose, non sarebbe stato possibile se l’industria delle armi, che fa il bello e il cattivo tempo nella politica statunitense, non avesse raggiunto un tale grado di raffinamento e precisione.
La nota della speranza
A ciò deve essere aggiunta la dimensione del nichilismo e quella del capitalismo, terreno delle grandi analisi filosofiche di Nietzsche e di Marx, alla fine dell’Ottocento.
Se c’è, allora, una dimensione in cui il Male del secolo scorso è stato redento, è quella culturale, filosofica, scientifica, letteraria, artistica.
Croce e Freud, Kraus e Wittgenstein, Rilke e Heidegger, Joyce e Adorno, Einstein e Majorana, Picasso e Schönberg, Kafka e Thomas Mann, Pirandello e Montale, nonché molti altri, hanno puntellato il fronte dell’umanesimo.
Spesso entrando in contrasto con la sua immagine tradizionale.
Consegnando così, all’umanità futura, il valore fondamentale della speranza.