Incendio TMB Salario. Sul rogo ci finiscono Virginia Raggi e il M5S
Per gli avversari è un’occasione d’oro per prendersi una mezza rivincita: da disprezzati a inquisitori
I pompieri erano ancora al lavoro, impegnati a completare lo spegnimento dell’incendio al TMB Salario, quando i “piromani” dell’attacco politico si sono scatenati. Lanciandosi all’assalto dei due bersagli più ovvi: Virginia Raggi e Nicola Zingaretti. Entrambi corresponsabili, quantomeno a giudizio dei detrattori, dei gravi problemi che ci sono tuttora nella raccolta e nello smaltimento dei rifiuti urbani di Roma: lei perché è a capo del Campidoglio, lui perché in quest’ambito la gestione non riguarda solo la Capitale ma si intreccia alle decisioni in sede regionale.
“Sono due incapaci – tuona ad esempio Fabio Rampelli, esponente di spicco di Fratelli d’Italia e vicepresidente della Camera dei deputati – che hanno trasformato una questione ritenuta semplice per decine di migliaia di città del mondo in un dramma. Non si tratta di andare su Marte o di raggiungere la fusione nucleare né di separare le acque del Tirreno. Occorre solo gestire i rifiuti che si producono, senza approcci ideologici”.
Raggi e M5S: sul rogo! sul rogo!
Come si può immaginare, però, le requisitorie si sono concentrate soprattutto sulla sindaca M5S. Che proprio per la sua appartenenza al MoVimento è la più facile da inchiodare sulla croce degli insuccessi. O meglio: sulla croce del divario tra le promesse e i risultati.
Lei e i suoi si erano presentati come gli arcangeli che avrebbero prontamente mutato l’inferno in paradiso e invece, come sappiamo, le cose si sono rivelate assai meno semplici. L’inferno era/è assai vasto e i satanassi abbondano (i più pericolosi nel girone dei barattieri, quelli che vampirizzano le cariche pubbliche a fini personali, gli altri variamente distribuiti tra fraudolenti, accidiosi e ignavi). L’inferno si è rivelato un pantano e avanzare spediti si è rivelato impossibile: ogni passo è una fatica e ogni traiettoria è un’incognita.
Questo, sia chiaro, non significa che all’origine i Cinquestelle avessero torto nello sparare a zero sulle amministrazioni precedenti e, ancora di più, sullo schifoso groviglio di interessi e di opportunismi che ha imperversato per decenni. E che non vede l’ora di riprendere a spadroneggiare come e più di prima.
Significa però che hanno commesso un errore enorme a far pensare – o addirittura a pensare essi stessi – che il cambiamento equivalesse a girare un interruttore. Della serie: fatemi entrare nella stanza dei bottoni, fatemi trovare il Grande Pulsante del Potere, e vedrete che lo ruoterò nella giusta direzione. Dopo di che, tranquilli, torneranno tutti insieme la luce, il riscaldamento, il benessere.
Lo sbaglio madornale è stato questo. E adesso, spiace dirlo, sta diventando un’arma avvelenata nelle mani dei vecchi partiti (che a cominciare dal PD rimangono vecchi, anzi decrepiti, anche se fingono di non esserlo esibendo nuovi nomi e nuovi leader, o sedicenti tali). I navigati professionisti sbertucciano i giovani Savonarola e insinuano nell’elettorato il germe del dubbio: inefficienza per inefficienza, non eravamo/siamo/saremmo meglio noialtri che la sappiamo lunga?
Per un popolo come il nostro, che vaga da una suggestione all’altra e ha comunque mandato e tenuto al governo i vari Andreotti, Berlusconi e Prodi, c’è il fondato rischio che il germe si riveli un virus. E che riprenda a dilagare l’infezione del “vabbè, tiriamo a campare”.