Infanticidio: 473 bambini uccisi da un genitore in 20 anni. Perché?
Sono molti i casi di figli uccisi dalle madri, con motivazioni diverse, inaccettabili, tragiche, che tuttavia cercheremo di capire
Recentemente una madre ha strangolato il figlio di un anno a Voghera. Un dato inaccettabile, contro natura. Sono molti i casi di figli uccisi dalle madri, con motivazioni diverse, inaccettabili, tragiche, che tuttavia cercheremo di capire.
Da Cogne a Mesenzana e ora Voghera. I casi di genitori che hanno ucciso i propri figli. Secondo il rapporto dell’associazione di ricerche economiche e sociali Eures sugli Omicidi in famiglia, sono 85 i bambini con meno di un anno uccisi dai genitori, tra il 2000 e il 2019, e 473 i figlicidi in totale.
Responsabili degli eventi delittuosi, in percentuale e rispetto all’arco di tempo preso in considerazione, sono le madri, ma aumentando l’età dei figli la responsabilità delle madri diminuisce e aumenta quella dei padri. Spesso si tratta di omicidio-suicidio, o tentato omicidio. E purtroppo il numero dei casi continua ad aumentare.
Una madre ha strangolato suo figlio di un 1 a Voghera
Una mamma di Voghera, Elisa Roveda, 45 anni, impiegata, era sola in casa quando ha strangolato il figlio di un anno. Il delitto è accaduto il 14 luglio scorso. La donna è stata trasferita nel reparto di psichiatria al Policlinico San Matteo di Pavia.
La vicina ha raccontato che Elisa era stanca e per questo aveva preso una pausa dal lavoro. Soffriva di “depressione post partum. Era un po’ agitata ma stava bene. Erano cinque anni che volevano questo bambino”. Secondo quanto emerge in queste ore dal racconto anche di altri vicini, la donna soffriva di problemi psichici.
I carabinieri però smentiscono che fosse seguita dai servizi sociali, ma era affiancata costantemente dalla famiglia che cercava di non lasciarla mai sola. Al momento dell’arresto la donna era sotto choc. Nell’abitazione di via Mezzana era rimasta la nonna del piccolo Luca, che per prima aveva dato l’allarme e che ha aiutato i militari a ricostruire i contorni della tragedia.
Si tratta di uno dei casi più comuni in questo genere di omicidi. Il trauma post partum. Una condizione che subiscono alcune madri e che spesso porta a compiere atti sconsiderati. Per altro mi sembra di capire che la famiglia aveva colto segni premonitori di fragilità nella donna.
“Rimaniamo attoniti di fronte ad un bimbo strappato alla vita da un gesto terribile”. Lo ha detto la sindaca di Voghera, Paola Garlaschelli, commentando la notizia dell’uccisione del piccolo Luca, di un anno, da parte della mamma Elisa Roveda. “Attendiamo di sapere di più dalle forze dell’ordine sulla tragedia che questa mattina ha sconvolto la nostra città.”
Casi eclatanti di infanticidi nelle cronache
Ottobre 2021. Due bambine, di origini cingalesi, di 3 e 11 anni sono state ritrovate senza vita nella loro stanza, in una casa di accoglienza, a Verona. Da subito sono partite le ricerche della loro madre, il cui cadavere è stato successivamente ritrovato nell’Adige.
Giugno 2021, Ferrara. All’alba arriva una telefonata al 112: “Mio figlio è morto“. Al loro arrivo, i carabinieri trovano una donna di 29 anni, con profondi tagli ai polsi, sotto schock che dice loro di aver ucciso il figlio, un bimbo di un anno, che i militari trovano ancora nel lettone della mamma.
Marzo 2021, Cisliano (Milano). Edith aveva 2 anni, è stata uccisa dalla mamma, Patrizia Coluzzi, 41 anni, accusata di omicidio aggravato per la morte della figlia, avvenuta per soffocamento. Quella sera non c’erano i due fratelli maggiori, avuti dalla 41enne da un primo matrimonio. Dopo aver ucciso la piccola, la donna ha tentato di togliersi la vita, infliggendosi ferite alla pancia e alle braccia con un’arma da taglio.
Novembre 2014, Santa Croce Camerina (Ragusa). Loris Stival viene trovato in un canalone, a 4 chilometri dalla scuola che frequentava. La madre Veronica Panarello ne aveva denunciato la scomparsa qualche ora prima. Per la morte del figlio, Panariello, al termine di un processo anche mediatico, è stata condannata ad una pena a 30 anni di reclusione.
Aprile 2013, Carovigno (Brindisi). È il 4 aprile, Francesca Sbano avvelena la figlia di 3 anni con del diserbante e subito dopo si lancia dal balcone della sua casa vicino Brindisi. Ha lasciato alla famiglia un biglietto: “Benedetta la porto via con me“. La piccola muore qualche ora più tardi in ospedale.
Marzo 2013, Rovito (Cosenza). Una 43enne della provincia di Cosenza, Daniela Falcone, va a prendere il figlio di 11 anni a scuola e lo porta in montagna. Lo uccide, sgozzandolo con le forbici. Lo colpisce ripetutamente. Tenterà invano, di lì a poco, di suicidarsi.
Ottobre 2013 Abbadia Lariana (Lecco). Una donna, 25enne della Costa d’Avorio, uccide il primo dei suoi due figli infierendo più volte sul corpo del piccolo.
Agosto 2011, Feniglia (Grosseto) Una donna ha ucciso il proprio bambino di 16 mesi, lanciandolo nelle acque della Feniglia durante una gita in pedalò. Nel suo pc, gli inquirenti ritrovano tracce riconducibili alla volontà della donna di liberarsi del bambino.
Febbraio 2010, Ceggia (Venezia). Tiziana Bragato, 47 anni, uccide il figlio, di sei anni, soffocandolo, poi si impicca. Sarà il marito a scoprire l’omicidio-suicidio.
Luglio 2009, Parabiago (Milano). Il 20 luglio, in provincia di Milano Marcella Sardeni, dirigente d’azienda di 35 anni, affetta da grave depressione, ha ucciso il figlio di 4 anni strangolandolo con un cavo del telefono. Dopo 4 mesi, la donna confessa di essere stata lei.
Agosto 2009, Genova. Un neonato di 19 giorni viene strangolato dalla madre con il cavo del cellulare e si toglie la vita. La donna, 35 anni, viveva da sola con il piccolo e soffriva di depressione post-partum.
Settembre 2009, Castenaso (Bologna). Uccide i figli di 6 e 5 anni accoltellandoli, poi si suicida buttandosi già dalla terrazza al secondo piano della casa dove vivevano. I carabinieri ritrovano i copri dei bimbi sul letto. La donna, sarà poi accertato, soffriva di depressione per una separazione in vista dal marito.
Maggio 2005, Casatenovo (Lecco). Un bambino di 5 mesi viene trovato annegato nella vasca da bagno di casa sua. Alle forze dell’ordine, la madre, 29 anni, racconta che dei ladri sarebbero entrati in casa, l’avrebbero picchiata. Il bambino, rimasto solo, sarebbe scivolato nell’acqua fino ad annegare. Due settimane dopo, la donna confesserà il delitto.
Settembre 2005, Merano. La 39enne Christine Rainer telefona al 118: “Venite, ho ucciso mio figlio“. La donna ha ucciso a coltellate il figlio, 4 anni, che aveva appena iniziato a mangiare pane e marmellata. Dice di aver avuto un blackout agli agenti della polizia che l’hanno portata in commissariato, dove tenta di uccidersi lanciandosi dal secondo piano.
Marzo 2005, Roma. Ha soltanto 2 mesi la piccola che viene ritrovata morta, uccisa da una coltellata, nella sua casa alla Romanina. La madre, dopo averla uccisa, tenta il suicidio.
Luglio 2004, Vieste (Foggia). Una donna di 33 anni soffoca i propri figli, di 2 e 5 anni, tappando loro la bocca con del nastro adesivo. In quello stesso modo, si suicida di lì a poco. È il padre, un uomo di 37 anni, a ritrovare senza vita i figli e la donna.
Marzo 2004, Lecco. Una donna di 37 anni, di origini albanesi, uccide a coltellate le sue tre figlie di 3, 10 e 13 anni. Poi ha tentato di togliersi la vita. Interrogata dai magistrati confessa il delitto.
Giugno 2003, Desio (Milano). Una peruviana di 29 anni strangola e affoga in un wc dell’ospedale di Desio, in provincia di Milano, la figlia di tre mesi, che era ricoverata per una caduta dalla carrozzina.
Giugno 2002, Aosta. Matteo e Davide avevano 4 anni e 21 giorni. La loro mamma, Olga Cerise, 31 anni, li ha uccisi gettandoli nel laghetto di Les Illes a Saint Marcel, nei pressi di Aosta. La donna ha confessato.
Maggio 2002, Valtellina. Il 12 maggio una 31enne, nella sua casa a Madonna dei Monti, frazione del Comune di Valfurva, ha aperto lo sportello della lavatrice e ha messo dentro il cestello la sua bambina di 8 mesi. L’ha uccisa attivando il lavaggio. Sarà il padre a scoprire l’omicidio, rientrato in casa con l’altra figlia di 11 anni.
Gennaio 2002, il delitto di Cogne. Samuele Lorenzi ha 3 anni, viene trovato senza vita, con ferite profonde sulla testa, nel lettone dei genitori, nella casa di Montroz. La madre, Annamaria Franzoni chiama i soccorsi e chiede aiuto ai vicini di casa.
L’arma del delitto, probabilmente una roncola, non sarà mai ritrovata. Condannata a 30 anni in primo grado, nel 2004, Franzoni si vede ridurre la pena a 16 anni in appello, con la concessione delle attenuanti generiche. Nel 2008, la Cassazione conferma i 16 anni di reclusione. Franzoni ha scontato 6 anni in carcere, 5 ai domiciliari, estinguendo in anticipo la pena per buona condotta.
La Sindrome di Medea, che uccise i figli per vendetta contro Giasone che l’aveva tradita
Nel riassumere in poche righe i drammi riportati non posso fare a meno di evidenziare che ogni storia avrebbe bisogno di essere scandagliata e compresa in sé e che è oltremodo complicato giungere a delle motivazioni che vadano bene per tutte le diverse storie e le personalità delle donne coinvolte. Per questo cercherò di trovare delle risposte in quello che sostengono gli specialisti del problema.
Secondo lo psichiatra Alessandro Meluzzi, indagando sull’istinto materno e sul perché si commettono atti così efferati di omicidio, non si può che partire dal Mito di Medea, che uccise i figli per recare danno al suo amante Giasone, che l’aveva lasciata per un’altra.
Le cause della sindrome di Medea sarebbero nella percezione di estrema trascuratezza emotiva che la persona subisce, porta a un desiderio di vendetta che può avere tragiche conseguenze. Alcune donne vivono questa triste esperienza dopo il parto, quei 9 mesi prima e gli impegni dopo. La reazione della donna alla trascuratezza del compagno potrebbe sfociare in una perdita di fiducia del presente e in una crisi di identità. Si sentono meno attraenti fisicamente per i loro compagni o almeno così possono pensare loro. Il responsabile di questa situazione viene individuato nel figlio invece che nel padre.
Secondo lo psicologo e psicoterapeuta Luciano Masi, il significato della sindrome di Medea è complesso e legato a situazioni emotive e psichiche di fragilità, depressione, solitudine e ancora ritorna il senso di trascuratezza.
Vengono ignorati i segnali di allarme
Ci possono essere dei campanelli d’allarme, che vengono ignorati o sottovalutati. In alcuni casi di infanticidio si potevano capire i segnali. Prevenire è difficile e complesso, ma non impossibile. Sarebbe importante non sottovalutare e anzi comprendere il disagio psichico che può portare a un infanticidio. Per una sorta di sicurezza collettiva e individuale, si è portati a pensare che una madre che uccida il proprio figlio sia una persona che non sta bene con la testa.
Questo modo di pensare serve soprattutto alle persone che vogliono giustificare l’omicidio o trovare una facile risposta a quanto accaduto. Lei era pazza, mette tutti tranquilli. Ma non è così. La madre che uccide un figlio non è pazza, mettiamocelo bene in testa. È stressata, è stanca, è fragile, ha perso i punti di riferimento cui aggrapparsi e soprattutto è sola!
Purtroppo ci sono tante cause che sono razionali e al contempo assurde.
Una madre può compiere un infanticidio in maniera razionale
Alcuni psichiatri ritengono che ci sia un attaccamento tra madre e bambino, ovviamente non sano, specialmente nel caso di infanticidio. Una mamma, infatti, nel momento di uccidere il figlio, si arroga il diritto di vita o di morte su di lui: “Io l’ho generato, io posso ucciderlo“.
Altri invece sostengono che non c’è assolutamente attaccamento, perché altrimenti entrerebbe in gioco l’istinto materno a bloccare il gesto mortale. Questa tesi, però, non tiene conto dei casi di madri con psicopatologie gravi o tossicodipendenze. In ogni caso, anche in assenza di psicopatologie o tossicodipendenze, una madre può decidere in maniera razionale di togliere la vita al figlio.
Lo psichiatra Joseph C. Rheingold, nel suo testo del 1967 La madre, l’ansia e la morte: il complesso della morte catastrofica, scrive di “essere rimasto colpito dal numero di donne che, quasi con indifferenza, ammettevano il loro desiderio di abusare, violentare, storpiare o uccidere il proprio bambino. Non ho mai conosciuto un uomo con una tale animosità, sangue freddo, nei confronti dei bambini.”
Di fronte a questi atti lo sconcerto è l’unica reazione immediata e poi arrivano le riflessioni, i se, i ma, i perché, gli avrebbe potuto. Cosa può accadere a queste madri? Perchè scaricano la loro rabbia, tensione, insoddisfazione, direttamente o indirettamente, sui corpi dei loro bambini?
Perché non scelgono di darli in adozione o in affido, affinché possano vivere la loro vita in modo migliore? In molti si pongono tante domande su quante cose si potevano fare, diversamente che l’omicidio, per superare qualsiasi problema. Il fatto è che il problema non è un fatto oggettivo, è nella mente della donna, nelle sue paure.
L’uccisione dei figli è un omicidio che è sempre esistito
Gli psichiatri sostengono che non sia facile da spiegare cosa passa per la testa della madre nel momento in cui decide di farla finita con il figlio e spesso con sé stessa.
È come se si spengesse la luce, un buio completo, un disagio nascosto con i propri familiari, in particolare col compagno. Le mamme arrivano a uccidere ciò che dovrebbe essere di più caro al mondo e inscenare scuse per crearsi un alibi impossibile, quando non decidano di seguire il figlio nella morte.
Tra le possibili motivazioni che inducono ad uccidere il figlio, abbiamo detto che ci può essere la vendetta contro il compagno oppure si uccide un figlio non desiderato che ti esaspera proprio perché non lo volevi. Una madre uccide un figlio quando lo trasforma in capro espiatorio di tutte le sue frustrazioni.
Ci sono madri che ripetono sul proprio figlio le violenze che avevano subito dalla propria madre. Madri che spostano il desiderio di uccidere la loro “madre cattiva” e uccidono il “figlio cattivo”.
Mamme che desiderano uccidersi e per questo prima uccidono il figlio. Madri che uccidono il figlio per salvarlo! Dal mondo, dalla miseria, dalla fame, dal padre violento. Madri che prodigano cure affettuose al figlio, ma in realtà lo stanno subdolamente uccidendo, l’omicidio poi sarà un incidente, una distrazione, un errore. In psicanalisi si chiamato atti mancati e testimoniano una volontà contraria a quella manifestata consciamente.
Ci sono donne che rifiutano la maternità
Questo disagio verso la maternità dovrebbe essere stato evidente fin dallo stato di gravidanza e poi proseguire dopo il parto. È una sorta di rifiuto delle responsabilità materne o dell’eccessivo carico di problemi che la donna non si sente di saper affrontare.
Spesso le gravidanze non sono pianificate, arrivano del tutto inattese. Questa condizione, che cambia completamente la vita di una persona sia prima che dopo il parto, potrebbe essere scatenante per un rifiuto che cresce nei mesi e se non c’è un adeguato aiuto da parte dell’uomo, potrebbe sfociare nel sentirsi completamente alla deriva, perse, con un figlio di cui occuparsi, che è l’esemplificazione materiale del problema.
È stato evidenziato che il “rischio di un bambino di essere ucciso dalla propria madre biologica è più alto nelle prime 24 ore e soprattutto se la madre è giovane, non ha altri figli e si trova in condizioni sociali ed economiche critiche (Camperio Ciani & Fontanesi, 2010)”.
“Nessun crimine è più difficile da capire dell’uccisione di bambini da parte dei loro genitori. Ma questo tipo di omicidio è sempre esistito. Le donne raramente uccidono, e quando lo fanno di solito uccidono il proprio marito. Tuttavia, il secondo obiettivo più frequente delle donne assassine è rappresentato dagli altri membri della famiglia, inclusi i figli (Rougé-Maillart, Jousset, Gaudin, Bouju, & Penneau, 2005)”.