Interventi senza trasfusioni di sangue, ecco come e quali alternative
Operazioni chirurgiche senza trasfusioni di sangue, il medico spiega perché è possibile e quali vantaggi hanno
“In linea di massima riuscire a non trasfondere è la cosa migliore che ci possa essere per chiunque. Se viene fatto un controllo delle perdite ematiche l’omeostasi metabolica, che indica la condizione generale interna del paziente, è migliore perché ogni volta che fai una trasfusione hai un blocco del sistema immunitario del paziente per due-tre giorni e aumenta il rischio d’infezione, dunque il controllo delle perdite ematiche del paziente deve essere un must per tutti”.
Il professor Rodolfo Capanna e gli interventi senza trasfusioni
Il professor Rodolfo Capanna, chirurgo esperto in ortopedia e traumatologia, già presidente della European Association of Musculo Skeletal Transplantation (Eamst) e della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (Siot), e direttore dell’Uoc di Chirurgia Ortopedica Oncologica e Ricostruttiva presso l’Ospedale Cisanello di Pisa, premiato anche tra i migliori medici d’Italia al “Top Doctors Award”, non ha dubbi. Intervistato dalla Dire afferma che evitare le trasfusioni sarebbe a beneficio di tutti.
Un percorso iniziato grazie ai Testimoni di Geova che per ragioni di credo religioso non danno il loro consenso informato alle trasfusioni nemmeno in casi di emergenza e che, grazie al lavoro costante dei loro Comitati di assistenza sanitaria, hanno aperto un varco nel mondo medico.
Trasfusioni del sangue e rischio di infezione
“Su un paziente oncologico la trasfusione può aumentare un rischio di recidiva ma soprattutto d’infezione e in quel caso le cure di chemio saltano se si ha un’infezione- spiega il chirurgo.
D’altro canto anche la risposta personale al tumore con un’anemia troppo grave porta ad altre conseguenze e quindi bisogna bilanciare caso per caso”, precisa ancora.
Nella sua carriera, racconta, “ho operato centinaia di pazienti Testimoni di Geova sia nei tanti anni al Rizzoli, sia a Firenze che a Pisa, e abbiamo cercato sempre di rispondere a queste loro richieste e nella stragrande maggioranza dei casi ci siamo riusciti”.
Le alternative in sala operatoria
I rimedi da approntare in sala operatoria per non arrivare ad emergenze conclamate ci sono: “In situazioni estreme con perdite rapide e massive di sangue si rischia di perdere l’ammalato, ma nella chirurgia programmata puoi mettere in campo tante strategie come una terapia preoperatoria con eritropoietina, anestesia ipotensiva, puoi fare- continua Capanna- il recupero intraoperatorio delle perdite ematiche e ci sono tecnologie per far sanguinare meno i pazienti, dai cateteri con palloncino nei grossi vasi, alla crioterapia. Se c’è una massa tumorale voluminosa esistono sonde che la gelano, e ancora colle emostatiche per evitare il sanguinamento dei grossi vasi”.
Il professor Capanna affronta una chirurgia molto impegnativa che riguarda tumori delle ossa e parti molli: “Si tratta di una chirurgia di necessità e impegnativa sia per asportazione del tumore sia nella parte ricostruttiva che richiede trapianti massivi da donatore, mega protesi, protesi 3D, o microchirurgia con interventi molto lunghi e complessi con ricostruzione vascolari o grosse demolizioni del bacino, ma anche per l’ortopedia più generale, come la protesi del ginocchio o dell’anca; in questi casi l’ematocrito critico rappresenta un problema”, puntualizza richiamando l’attenzione a quanto sia necessario fare il possibile per non ritrovarsi mai in quelle condizioni di emergenza.
Le perplessità di alcuni medici
I medici hanno delle resistenze a dire addio alle trasfusioni?
“Non c’è più un pregiudizio- secondo il professore- credo che per una questione psicologica il medico ha sempre davanti a sé il rischio che il paziente, anche per un intervento banale (se si rompe un’arteria, si verifica un crollo ipotensivo, una cosa inaspettata), possa morire e la necessità di fare una trasfusione salvavita è un pensiero ineliminabile per il medico. Ognuno ha il suo credo.
Come medico, non posso accettare in coscienza che il paziente mi muoia durante un intervento ma- spiega Capanna- se si cerca di ripristinare il volume ematico e l’ossigenazione a tutti i costi, se si mette in campo tutto quello che dicevo, non si arriva a mettersi in quella situazione estrema e quindi chi rifiuta le trasfusioni si sente sicuro che farai di tutto per non farlo e questo crea fiducia e armonia”.
A questo proposito Capanna ha commentato l’esperienza di collaborazione con i Comitati di assistenza sanitaria dei Testimoni di Geova come “molto positiva”. Con un paziente che non autorizza una trasfusione ci si assume un obbligo morale, e da medico io accetto questo loro credo.
Alcuni medici non accettano questa condizione, “pretendono di essere autorizzati a fare le trasfusioni- commenta il professore- ma se ci si irrigidisce sulle posizioni, salta la fiducia”, conclude.