Intervista a Fulvio Abbate: “Il governo? Analfabeti funzionali. Con la scrittura si guadagna poco, nemmeno 1800 euro”
Lo scrittore: “Il mio nuovo romanzo parla di mediocrità, oggi è un talento. Il Fatto Quotidiano? Inospitali, il mio ricordo peggiore”
Vita da intellettuale, singolare, non conforme alle linee consuete. La provocazione come scelta, o forse come necessità. Fatta di trame d’inchiostro che si intersecano nella più recondita e scandagliata esistenza. Fatta di giorni, di incontri, di situazioni. Fulvio Abbate, palermitano, scrittore e filosofo, si racconta al nostro giornale, attraverso una sincera e amichevole intervista.
Filosofia, vita e mediocrità
Classe 1956, una vita vissuta tra politica e filosofia, Abbate offre un breve ma fotografico racconto di se stesso, qualche giorno prima della pubblicazione del suo ultimo libro, Lo Stemma, in uscita il prossimo 25 aprile, edito da La nave di Teseo.
Un libro che parla di uno degli aspetti più dominanti dell’era contemporanea: la mediocrità. E guai a definirla un difetto. Abbate sceglie quasi una linea apologetica, in controtendenza, in favore di uno degli aspetti più limitanti della condizione umana, ormai in disequilibrio nell’annoverarsi della vita.
Lei nasce a Palermo, che ricordi ha di quella città, di quella terra…
“I ricordi iniziali sono di me bambino, legati a un quartiere che anni fa ho anche raccontato. Lì i funerali avvenivano con la carrozza e il becchino portava il bicorno. Mi ricordo i venditori di ghiaccio, i netturbini che avevano la divisa. E naturalmente ricordo la spiaggia e il mare di Mondello”.
Palermo è teatro del suo ultimo lavoro letterario…
“Il mio ultimo romanzo, che esce il 25 aprile. E’ un anti-Gattopardo e si svolge a Palermo, nel 2023. Protagonista una giovane principessa, Costanza Redondo di Cosseria. E’ un esempio di assoluta mediocrità. E’ un romanzo sulla mediocrità, vista come talento, come blasone. E’ una specie di cosmogonia che racconta per intero, mettendoli anche in discussione, i miti e la retorica sui miti della Sicilia di Palermo e del Gattopardo“.
C’è chi su un altro aggettivo, dai caratteri dispregiativi, ha realizzato un’altra opera. In quel caso si parlava di Indifferenti. Lei sceglie dunque i mediocri. Chi sono oggi i mediocri?
“Innanzitutto la mediocrità oggi è un talento. Il mediocre non è mai conflittuale. Ma come il liquido, si dispone nel recipiente che gli viene offerto. Intendo dal punto di vista della percezione quotidiana, non necessariamente politica. Oggi sopravvive un’ampia zona grigia. Se la vogliamo invece riferire a un ambito politico, il mediocre vede persino di buon occhio le parole di questa destra al governo. Soprattutto quando parla di sostituzione etnica”.
Che idea si è fatto del governo attuale?
“Da una parte un analfabetismo istituzionale, dal punto di vista del mestiere. E dall’altro, un intento revanscista: intende cioè ridare legittimità al sentimento che i loro nonni e i loro padri hanno nutrito nei confronti del Fascismo. E’ una sorta di equiparazione: Fascismo e Antifascismo. D’altronde, Giorgia Meloni arriva dal bunker di Colle Oppio, mica un’altra storia. Ricordiamo che l’Msi stava fuori dall’arco costituzionale”.
In altre parole?
“Provo a spiegarmi con una similitudine. C’era una baronessa palermitana che, quando doveva parlare dell’amante del marito, barone, c’impicciava ‘a lingua, come si dice in dialetto. Cioè, la lingua le andava a sbattere sui denti. Dunque non riusciva a dire Buttana. E dunque la definiva Donna orizzontale. Allo stesso modo la Meloni e i suoi non riescono a dire 25 aprile, guerra di liberazione. Perché nella loro tradizione ci sta Mussolini e la Repubblica Sociale, alleata coi nazisti. E’ una presunta idea dell’onore”.
Lei ha fatto della scrittura una professione, oltre che una vocazione. Oggi si può vivere da questa attività? E quanto si guadagna?
“No, bisogna arrotondare con giornalismo, collaborazioni e altro. A meno che tu non sia Federico Moccia o Fabio Volo. Autori popolari, direi sticker. Non si guadagna molto, oggi gli artisti quotati scelgono di garantirsi quelle 1.800 euro mensili andando a insegnare nelle Accademie di Belle Arti”.
Lei ha girato diverse redazioni, scrivendo per numerose testate. Qual è quella con la quale ha avuto rapporti più burrascosi (se c’è naturalmente) e quell’esperienza di cui è maggiormente fiero?
“Quella che ricordo con più piacere è L’Ora di Palermo. E’ stato un giornale antimafia, di battaglie straordinarie. Il ricordo peggiore è legato al Fatto Quotidiano, il più inospitale. Hanno anche avuto l’ardire di querelarmi per un tweet, quando non ero più loro collaboratore”.
Il Grande Fratello che esperienza è stata? Oggi la rifarebbe?
“E’ stata un’esperienza umana straordinaria. Ho capito i miei limiti. Stavo insieme a delle nutrie, dei capi bara. Che avevano come orizzonte, d’esser un giorno portati a ballare nel lago di Cologno Monzese, illudendosi. Li guardavo come se fossi stato all’acquario di Genova, come si guardano i totani e i pesci pilota. Nel momento in cui entri in contatto con loro sei perduto: hanno una parola più di te. E lì è grasso che cola se hanno idea di chi sia Picasso“.
Nel mondo dello spettacolo hai conosciuto diversi personaggi. Ce n’è uno con il quale tu non sia andato d’accordo?
“Sinceramente no, sono sempre andato piuttosto d’accordo con chiunque abbia incontrato. Paradossalmente, quello con il quale mi son trovato meglio, a un certo punto era Maurizio Costanzo. Facemmo un duetto in una puntata sulla porno-tax, quando io portai una copia di un giornaletto porno degli anni ’70, Caballero. Ogni volta che andavo lì diceva: “Fulvio Abbate, fa Teledurruti, una trasmissione eccezionale”. Io rispondevo: “Ma la faccio in una tv del Centro Italia. A Udine che diranno?!”.