Israele e Palestina: ne resterà solo uno?
Una soluzione come quella auspicata da Bettino Craxi di “due popoli e due Stati” appare oggi tanto ragionevole quanto impraticabile
Le vittime innocenti di Israele
L’articolo di mercoledì scorso, di solidarietà al popolo di Gaza mi ha fatto finire in un ginepraio. Lo sapevo, ma il dovere di protestare, contro lo sterminio di donne e bambini innocenti ed estranei alle violenze dei terroristi di Hamas, è stato più forte del timore delle critiche, che sono puntualmente arrivate.
Particolarmente accorata è stata quella di un amico della comunità ebraica romana, che mi ha rimproverato di avere pietà dei bimbi di Gaza ma non dei bambini ebrei uccisi da Hamas e di non aver condannato l’efferato e brutale attacco del 7 ottobre. Non ho mai solidarizzato con nessun atto terroristico, che fa sempre vittime tra gli innocenti, ma il mio amico non aveva del tutto torto, anche se il mio silenzio sul feroce attacco di Hamas era dovuto a circostanze casuali e non certo all’indifferenza verso le vittime israeliane.
Le vittime innocenti meritano sempre la nostra pietà e questo vale ancora di più per le vittime del proditorio attacco dei guerriglieri di Hamas che, come conferma Pramila Patten, rappresentante del segretario generale dell’ONU per le violenze sessuali in guerra, si sono macchiati di torture e stupri sugli inermi israeliani, tra cui molti bambini, vittime del loro attacco. Violenze che probabilmente continuano sugli ostaggi che sono ancora nelle loro mani. La violenza, gli stupri e le cosiddette “pulizie etniche” sono una consuetudine nei conflitti armati, ma questo non attenua certo il nostro orrore e la nostra indignazione.
Le radici del conflitto
L’odio che divide israeliani e palestinesi, con violenze e aggressioni che si susseguono da decenni, sembra impossibile da ricomporre. Qualcuno pensa addirittura che potranno finire solo con lo sterminio di una delle due parti. Un’affermazione che fa inorridire, ma che è addirittura priva di senso: perché nessuna delle due parti potrà mai essere eliminata del tutto. Gli ebrei sono in ogni parte del mondo, al pari dei musulmani e ogni strage fomenta solo il desiderio di vendetta. Le ragioni del conflitto sono complesse e si intrecciano con interessi di diversa natura, aggravati dalla componente religiosa, che non favorisce certo il dialogo.
Tutto ha origine dalla disputa territoriale per la creazione dello Stato di Israele. Una disputa iniziata nel 1917, dopo la dichiarazione del ministro inglese Arthur Balfour secondo il quale il governo inglese avrebbe visto “con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”. Quella affermazione, figlia degli interessi strategici britannici, favorì l’ipotesi del ritorno in Terra Santa del popolo ebraico, disperso nel mondo dopo la diaspora per la violenta repressione romana alla ribellione del 70 D.C..
L’innesto forzoso in un territorio ostile
Giusta o sbagliata che fosse, quell’idea indusse molti ebrei a trasferirsi in Palestina, soprattutto negli anni in cui era vitale sfuggire alla deportazione nei campi di sterminio nazisti. Finita la seconda guerra mondiale, l’Onu approvò il piano di partizione della Palestina che fece nascere, il 14 maggio 1948, lo Stato di Israele. La costituzione di uno Stato ebraico e il conseguente trasferimento di un numero altissimo di ebrei su un territorio abitato da secoli da un popolo a maggioranza araba e musulmana, non poteva che essere motivo di forti contrasti, sfociati in ripetuti e periodici attacchi armati contro Israele.
Ma l’efficiente organizzazione militare dello Stato ebraico ha sempre avuto la meglio sulla debolezza e le divisioni del mondo arabo, frammentato in fazioni tribali, capaci più di isolate azioni terroristico che di strategie belliche. Lo scontro tra arabi e israeliani è, purtroppo, anche uno scontro di civiltà e di culture, nel quale noi europei non possiamo che schierarci dalla parte di Israele, soprattutto contro l’oscurantismo medievale che connota il fondamentalismo islamico.
Israele ha il pieno diritto di difendere la propria sicurezza, ma la legittima reazione ad un attacco terroristico non può trasformarsi in una sorta di “soluzione finale” e nello sterminio di un popolo con l’intento di sradicare la comunità palestinese da un territorio che le appartiene da secoli.
L’irragionevole odio verso gli ebrei
Gli ebrei, per ragioni a me incomprensibili, sono da sempre vittime di un irragionevole odio razziale, che negli ultimi anni sta crescendo in modo preoccupante persino nel mondo occidentale, ben oltre le isolate frange di idioti che si richiamano alla follia nazista. Sarebbe bene avviare una seria riflessione sui rischi di questa pericolosa deriva, che si rafforza con le accuse di “suprematismo” rivolte al Governo israeliano per la politica di “apartheid” che attua nei confronti del popolo palestinese.
Cercare ostinatamente la pace
Una soluzione come quella auspicata da Bettino Craxi di “due popoli e due Stati” appare oggi impraticabile, ma fin quando non verrà trovato un punto di equilibrio, condiviso dai contendenti e dalla comunità internazionale, quella regione sarà in costante in conflitto sotto la spinta dei predicatori dell’odio, presenti in entrambi gli schieramenti.
“Ne resterà solo uno”, è un’affermazione a malapena accettabile nella finzione cinematografica di Higlander, mentre noi siamo testardamente convinti che ci sia sempre la possibilità di assicurare, rinunciando al desiderio di sopraffazione, la convivenza pacifica dei due popoli della Palestina.