Israele-Hamas, sfatiamo un paio di luoghi comuni sulla guerra
Magari Kfir, il più giovane tra gli ostaggi ebrei, è davvero morto a 10 mesi sotto le bombe di Tel Aviv, ma la colpa è comunque del movimento islamista: e i famosi “due Stati” sono i Palestinesi a non volerli
Come abbiamo già sottolineato, la propaganda è parte integrante di qualsiasi conflitto, e la guerra Israele-Hamas non fa eccezione. Semmai, sorprende – e non in positivo – che a farsi megafono di una narrazione di parte siano categorie che si supporrebbe essere equanimi. Anche per questo giova certamente sfatare un paio di luoghi comuni sorti (o rilanciati) nell’ultimo mese e mezzo.
Sfatiamo un paio di luoghi comuni sulla guerra Israele-Hamas
Il primo riguarda proprio l’organizzazione islamista, da alcuni – troppi – spacciata per movimento di resistenza palestinese. Ebbene, questo consesso pseudo-partigiano, come riferisce Il Riformista, ha dato uno dei più tragici tra gli annunci.
«Kfir Bibas è morto con la madre e il fratello in un bombardamento israeliano». Coi suoi 10 mesi, era il più giovane tra gli ostaggi ebrei rapiti lo scorso 7 ottobre: il fratello maggiore Ariel, invece, aveva 4 anni.
In effetti, aggiunge Sky News, l’esercito di Tel Aviv sta verificando la veridicità dell’informazione, anche perché è già accaduto che dei sequestrati siano stati falsamente dichiarati morti. Ma, anche se fosse tutto vero, inclusa la dinamica, le stesse Israel Defense Forces hanno già twittato che «Hamas deve essere ritenuto responsabile».
Hanno perfettamente ragione perché, se i piccoli non fossero stati strappati dal proprio kibbutz con la loro famiglia dai miliziani jihadisti, sarebbero tutti ancora vivi. Ecco dunque a chi inneggiano realmente le cosiddette “piazze pro-Gaza”: a uno spietato gruppo terroristico.
Il cliché sui “due Stati”
Tuttavia, il cliché più diffuso è un altro – quello relativo alla necessità di “due Stati” come unica via verso la pace. In un mondo ideale, sicuramente. Peccato però che, come ha magistralmente ricostruito Fiamma Nirenstein su Il Giornale, sono proprio i Palestinesi ad aver sempre rifiutato questa soluzione. È accaduto a Camp David nel 2000, con Yasser Arafat, e di nuovo ad Annapolis nel 2007, con Abu Mazen, attuale Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Tanto per dire che, probabilmente, anche stavolta l’ideologia finirà per pagare dazio, se non alla realtà, almeno alla realpolitik. Che d’altronde, per parafrasare un celebre aforisma del generale e stratega prussiano Carl von Clausewitz, “non è che la continuazione della guerra con altri mezzi”.