Italia a tre colori, l’ultimo Dpcm e le “zone” della discordia
La Calabria impugna l’ordinanza che le impone un nuovo lockdown, come a Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta. E col nuovo bollettino dell’Iss le fasce potrebbero già cambiare…
È un’Italia a tre colori quella disegnata dall’ennesimo ultimo Dpcm che, malgrado porti la data del 3 novembre, è entrato in vigore venerdì 6. Dividendo il Belpaese in tre macroaree a seconda del livello di criticità. Un frazionamento che ha destato più di una perplessità, suscitando da subito una ridda di polemiche anche tra rappresentanti delle istituzioni.
L’ultimo Dpcm e l’Italia a tre colori
Per ripartire il Paese nelle ormai mitologiche zone gialle, arancioni e rosse, il bi-Premier Giuseppe Conte potrebbe essersi ispirato a Giulio Cesare. Il quale, nel celeberrimo incipit del De bello Gallico, scriveva che “Gallia est omnis divisa in partes tres”.
Le battute possiamo comunque lasciarle ai social, che sul tema si sono scatenati, per esempio insinuando che fosse l’unico modo per far diventare “rosse” certe Regioni. Con un occhio pure alle rimostranze – abbastanza stucchevoli, in realtà – dell’opposizione.
Entrando nel dettaglio delle misure, il Dpcm del 3 novembre prevede una serie di disposizioni che valgono su tutto il territorio nazionale. Come il coprifuoco dalle 22, il blocco dei centri commerciali nei giorni festivi e la chiusura dei musei.
Gli altri provvedimenti hanno invece base regionale e, al contempo, cromatica, e dipendono da un’ordinanza del Ministro della Salute Roberto Speranza. I più restrittivi riguardano Calabria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta, che per 15 giorni saranno di nuovo in lockdown. Ci si potrà spostare solo per «comprovate esigenze» di lavoro, studio e salute, oltre che per le emergenze che, curiosamente, comprendono permanenti e doppie punte.
Non tanto diversa è la situazione di Puglia e Sicilia, incluse nella zona arancione. I cui abitanti avranno un grado di libertà in più in relazione all’attività motoria e sportiva.
Tutti gli altri enti locali si trovano in fascia gialla, dove non si registrano grandi novità. Resta, ad esempio, l’apertura di bar e ristoranti fino alle 18, orario oltre il quale sono consentiti l’asporto e la consegna a domicilio.
Gli enti locali sul piede di guerra
Questo, comunque, è lo stato dell’arte, che potrebbe cambiare da un momento all’altro. Perché i dati su cui si fonda la creazione delle zone della discordia sono quelli dell’ultimo bollettino dell’Iss. Il quale però è datato 27 ottobre e fa riferimento all’andamento della pandemia nella settimana dal 19 al 25 ottobre. Non può quindi rispecchiare l’attuale curva epidemiologica, ed è questo il motivo per cui alcune Regioni potrebbero finire presto “retrocesse”. Eventualità che getterebbe ulteriore benzina sul fuoco di una discussione che vede già gli enti locali sul piede di guerra.
La Calabria, per esempio, ha già anticipato l’intenzione di impugnare l’ordinanza del Ministro nomen omen, considerato che, al 5 novembre, aveva solo 4.244 positivi. Il fatto è che la suddivisione è stata stabilita sulla base di 21 indicatori fissati con Decreto del Ministero della Sanità lo scorso 30 aprile. Il più importante dei quali è l’Rt, che esprime la velocità di trasmissione del virus.
In Calabria, per esempio, questo parametro era pari a 1,66. «Un valore molto alto anche se a prima vista la situazione poteva sembrare sotto controllo» ha spiegato Giovanni Rezza, Direttore Generale della Prevenzione al dicastero di Speranza.
Italia a tre colori… variabili
C’è però un grosso problema. I dati relativi ai contagi, che inizialmente vengono trasmessi dagli enti locali alla Protezione Civile, sono in larga parte incompleti. È per questo motivo, per dire, che la Valle d’Aosta è stata catapultata in zona rossa.
E c’è chi afferma che sia per questa stessa ragione che la Campania è stata inserita in fascia gialla. Tra lo stupore generale, considerato che lì i nuovi positivi in un giorno equivalgono praticamente al totale dei contagiati della Calabria.
Proprio la Regione guidata da Vincenzo De Luca, comunque, è una di quelle che potrebbero presto tingersi di arancione, assieme a Liguria, Toscana e Veneto. Dando nuova linfa alla rivolta degli enti locali, che pure potevano aspettarsi queste decisioni da parte del Governo rosso-giallo. Dopotutto, dal tricolore a un’Italia a tre colori è un attimo.