Joel e Ethan Coen, Giacomo Manzoli
Il Sabato Lib(e)ro di Livia Filippi
Il volume Joel e Ethan Coen è curato da Giacomo Manzoli, docente di Storia del cinema a Bologna ed è composto di sei saggi di altrettanti autori.
Joel David Coen nasce a Minnepolis (Minnesota) nel 1954 seguito, tre anni dopo dal fratello Ethan Jesse Coen. Entrambi sono il prodotto di una strana miscela di elementi. Crescono nel contesto di una famiglia di intellettuali del Midwest americano, dove possiamo ipotizzare prevalesse una logica “midcult” per quanto riguarda la trasmissione della cultura ufficiale genericamente intesa, ma con alcune interferenze da considerare per comprendere il loro particolarissimo approccio al cinema.
Da un lato, gli studi regolari presso le più prestigiose università: corsi di cinema presso la New York University per Joel e la laurea in filosofia a Princeton per Ethan, nonché il peso dell’educazione ebraica impartita a livello familiare, con una serie di effetti (per lo più repressivi ma non solo) che verranno infilzati a più riprese e in particolare in quel bizzarro capolavoro di A Serious Man. Dall’altro lato, il clima beat e controculturale che si respira nei college americani degli anni Settanta e che lascerà in loro una sorta di impronta hippy che ancora oggi contraddistingue la loro immagine informale e scanzonata. Bisogna però anche tenere presente che il periodo della loro adolescenza è il più propizio per una fruizione massiva (in sala e in televisione) e onnivora nel campo cinematografico. I due hanno modo di accedere con naturalezza all’immenso archivio filmico prodotto negli anni della Hollywood classica e metabolizzare in tempo reale l’altissima rielaborazione di forme, temi e motivi che ne viene fatta fra gli anni sessanta e settanta.
Così accade che i due incontrino alcuni amici con cui condividono analoghe passioni, fra quelli Sam Raimi e Barry Sonnenfeld, e iniziano a compiere passi che forniscono assai più l’idea di realizzare i progetti che hanno in mente piuttosto che quella di un movimento o di una factory. Ma, pur senza impianti teorici ingombranti sulle spalle, il talento, la consapevolezza, l’artigianato di film a bassissimo budget concepiti fra amici, sono tutti elementi che fanno pensare a una sorta di riproposizione della Nouvelle Vague in chiave postmodernista.
Il denominatore comune di tutti gli scritti che compongono questo volume è proprio quello di sottolineare l’appartenenza delle opere dei Coen alla postmodernità. I film esaminati in successione cronologica – Blood simple, Mr Hula Hoop, Fargo, Il grande Lebowski, L’uomo che non c’era, Non è un paese per vecchi – tendono infatti a dimostrare una tesi unitaria. Postmoderno è il mondo che raccontano, postmoderni i personaggi, postmoderne le vicende nelle quali sono invischiati, in quanto tutti questi elementi sono il riflesso di un comune modo di stare al mondo. La filmografia dei
Coen, è un viaggio a tappe lungo la storia dell’America novecentesca, attraverso l’epica narrazione della grandezza e del declino, estetico e morale, dell’impero americano. La storia è percorsa da personaggi che – con pochissime eccezioni – sono altrettanto idioti (sebbene non necessariamente stupidi), figure incapaci di riconoscere il proprio posto nel mondo, e questa caratteristica li pone in situazioni che sfuggono al loro controllo e li lasciano in balia degli eventi.
Nei loro film ricorrente è l’amore per il grottesco e la caricatura, la spiccata tendenza alla cerebralità, l’ossessione di carattere filosofico ed etico, l’alienazione di un soggetto tanto più presuntuoso quanto ridotto ai minimi termini e sempre desideroso di spiccare il volo, l’avvitamento delle storie su se stesse, e la difficile relazione tra organico e inorganico (capelli, parrucchini, depilazioni). Il tutto nel segno di una ambivalenza di fondo, fondata sulla pretesa di stare dalla parte dei semplici e dei “comuni spettatori”, e una consapevolezza dei propri mezzi che li porta a trattare questioni filosofiche o cosmiche con assoluta naturalezza, e ad affrontare il tragico con una plateale, beffarda risata. Contenuti tutt’altro che privi di tesi, forse meritevoli di un maggiore approfondimento, reso probabilmente difficile da severi spazi editoriali.
I Coen sono registi che hanno sempre ritenuto fondamentale mantenere aperto un dialogo costante con il mercato e un’audience non specializzata. Nei loro film anche la tecnica di narrazione costituisce una caratteristica distintiva: spesso un narratore, che può essere estraneo al film o un personaggio di esso, parla direttamente con lo spettatore introducendo o commentando lo svolgersi dell’azione.
D’altra parte, ci si potrebbe spingere a pensare che senza la loro capacità di rivitalizzare i generi con uno sguardo obliquo, tanto profondo quanto spettacolare, non ci sarebbero stati i vari Quentin Tarantino, Todd Solondz, Ivan Reitman, e gran parte della più inventiva schiera di registi (non solo) americani contemporanei.
Un breve volume consigliato a tutti gli amanti del cinema d’autore, che racconta dell’intelligenza diabolica dei due cineasti geniali ricchissimi di idee, passione e talento, che continuano a rivolgersi alla macchina del cinema con ludica purezza, nella convinzione che sia ancora il mezzo più adatto a raccontare favole, piene di demoni e fate, gnomi e giganti, fairy tales pessimisti ma vitali.