Karl Jaspers, il filosofo come medico della civiltà, critico e terapeuta
Jaspers e Husserl, circa un secolo fa, regalarono all’Europa l’ultima grande stagione del pensiero occidentale
La filosofia del Novecento, fino agli ultimi decenni del secolo scorso, ha offerto un panorama di particolare spessore, profondità e splendore. Negli anni in cui, in Italia, brillava l’astro di Benedetto Croce, in Germania si andavano formando alcune delle personalità filosofiche più decisive del secolo. Tra di esse vi è, certamente, Karl Jaspers (1883-1969), che, più di ogni altro, incarna alla perfezione il modello del filosofo come medico della civiltà.
Agli albori dell’esistenzialismo
Medico e psicopatologo, ancor prima che filosofo, egli fu, insieme ad Heidegger e Sartre, uno dei massimi esponenti dell’esistenzialismo (seppure Heidegger volle, negli anni, ribadire la sua distanza dalla problematica esistenzialistica, intesa nella sua specificità).
Ossia di quel movimento di pensiero che, con rigore e radicalità, vedeva nella dimensione dell’esistenza, caratterizzata dall’angoscia e dalla mortalità, l’elemento fondamentale del vivere umano sulla terra.
Se Karl Jaspers guardava a Max Weber, come modello di rigore metodologico, è ad Edmund Husserl e alla fenomenologia da lui fondata, nonché a Kierkegaard, che l’esistenzialismo è maggiormente debitore. Quando Jaspers e Husserl si conobbero, il primo chiese al secondo di spiegargli cosa fosse la fenomenologia.
Husserl rispose a Jaspers che non ce n’era bisogno, poiché egli l’applicava benissimo già per conto suo. Questi erano gli uomini che, circa un secolo fa, regalarono all’Europa l’ultima grande stagione del pensiero occidentale.
Pensatori gemelli o nemici?
Come, nel pensiero italiano, fece epoca il legame che si stabilì tra Croce e Gentile, così nella filosofia tedesca lo stesso è possibile dire dell’amicizia tra Heidegger e Jaspers. Con, in più, un elemento: la presenza di Hannah Arendt, che fu allieva di entrambi e che sviluppò sul piano politico alcune delle loro grandi intuizioni.
Ma le analogie tra pensiero italiano e tedesco, non si fermano qui. Come Croce e Gentile, anche Heidegger e Jaspers furono divisi dalla storia. Fascismo e nazismo furono eventi tali da esigere scelte nette.
Così Heidegger divenne Rettore all’Università di Friburgo sotto la spinta del nazismo appena affermatosi. Mentre Jaspers aveva sposato una donna di religione ebraica e dovette vivere, molto da vicino, la Shoah con le sue terribili conseguenze.
La frattura fu quasi insanabile. Così, in una lettera del 1950 ad Arendt, Martin Heidegger le attribuiva l’importante ruolo di essere quella ‘e’ che ancora legava il suo nome a quello di Karl Jaspers.
Sebbene, dunque, geniali entrambi, quasi pensatori gemelli, fu il rapporto con la politica e l’umanesimo a rendere diverso il pensiero filosofico di Heidegger e quello di Jaspers.
Heidegger non aveva per la politica nessuna inclinazione e guardava alla posizione umanistica di Cicerone e Goethe con freddezza ed ostilità. Jaspers si muoveva in direzione diametralmente opposta.
La morsa del presente
Ciò è visibile da un libro come “La bomba atomica e il destino dell’uomo” (ed. it. PGreco), opera capitale di Jaspers del 1958. In questo libro, profondamente pervaso dal clima della guerra fredda, Jaspers si pone un problema decisivo.
Come è cambiata la posizione dell’uomo nel mondo, da quando la bomba atomica e il totalitarismo sono apparsi sulla scena del nostro pianeta? Per totalitarismo egli intendeva, soprattutto, anche sulla scia di Arendt, la Germania di Hitler e l’Urss di Stalin.
L’attualità del libro risiede nel fatto che, da allora, la nostra situazione non è molto cambiata. Non solo perché moltissime nazioni continuano a possedere la bomba atomica. Non solo perché l’energia nucleare occupa un posto sempre più grande nelle nostre vite e la Cina è rimasto un paese totalitario.
Ma anche perché l’indagine filosofica di Jaspers va oltre e può riguardare anche l’attuale crisi del Coronavirus. Poiché anche qui c’è un problema relativo al posto dell’uomo nel mondo, al rapporto con la natura e alla forma che il nostro progresso assumerà in futuro, se sapremo far tesoro di questa lezione.
La filosofia come funzione critica e terapeutica
Da una parte, dunque, abbiamo, in Jaspers, il rovesciamento di mezzi e fini di fronte a tecnica e totalitarismo, l’essere divenuti, noi uomini, piccole rotelle, piccole appendici terminali di apparati giganteschi.
Dall’altra, abbiamo la rivendicazione dell’humanitas dell’uomo, di ciò che ci costituisce e ci caratterizza in quanto uomini. In questa funzione, tanto critica che diagnostica, di comprensione e di cura, risiede – a partire da Nietzsche e da Marx – la ricchezza di tanta parte della filosofia contemporanea.