Kitchen, Banana Yoshimoto
Il Sabato Lib(e)ro di Livia Filippi
Kitchen è il primo romanzo scritto dall’autrice giapponese Banana Yoshimoto nel 1988. E’ diviso in due parti, Kitchen e Plenilunio (Kitchen 2). Molte edizioni includono anche un altro breve racconto in pieno stile manga, Moonlight Shadow: tesi di laurea dell’autrice, con cui ha vinto il premio di Facoltà dell'Università del Giappone (Nihon Daigaku).
Ambientato in Giappone, di rimando offre uno spaccato di quella società assai lontana dal nostro modo di essere europei. Nella sua dimensione del Giappone moderno, la narratrice si identifica con la protagonista e racconta due storie affascinanti che, a corrente alternata, riescono a viaggiare su uno stesso binario fluttuante, quello della vita e della morte, della fine e della rinascita, del piacere del cibo e dell’asprezza della scomparsa, creando così un connubio singolare: quello tra il cibo e la morte.
Mikage è sola al mondo. Da bambina, dal momento in cui rimane orfana, va a vivere con la nonna. Persa anche l’unica persona che è tutta la sua famiglia, senza avere nessun altro al mondo del suo stesso sangue, Mikage si abbandona ad un flusso di coscienza e ricordi e si affaccia così dal libro:
“Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina. Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile, le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano. Anche le cucine incredibilmente sporche mi piacciono da morire. Mi piacciono col pavimento disseminato di pezzettini di verdura, così sporche che la suola delle pantofole diventa subito nera, e grandi, di una grandezza esagerata. Con un frigo enorme pieno di provviste che basterebbero tranquillamente per un intero inverno, un frigo imponente, al cui grande sportello metallico potermi appoggiare. E se per caso alzo gli occhi dal fornello schizzato di grasso o dai coltelli un po’ arrugginiti, fuori le stelle che splendono tristi. Siamo rimaste solo io e la cucina. Mi sembra un po’ meglio che pensare che sono rimasta proprio sola”.
La cucina è per Mikage un luogo di rifugio e di protezione che rappresenta il calore di una famiglia sempre desiderata. Il suo legame per quel luogo fisico nel quale si consumano cibo e vita, è al tempo stesso reale e metaforico. In fondo è proprio in cucina che ci si riunisce con la famiglia, è spesso di fronte ad una tazza fumante o a qualcosa da sgranocchiare che si incontrano gli amici ed è a cena che s’invitano gli innamorati.
Dopo un primo momento di solitudine, entra nella sua vita quella che sarebbe diventata la sua famiglia: la famiglia Tanabe. Il timido Yūichi la invita a trasferirsi per un periodo a casa sua e lì Mikage trova una nuova vita, una nuova cucina da condividere e l’affascinante e magnetica Eriko. “Lei vive solo di impulsi irresistibili. La cosa incredibile è che ha la forza di realizzarli”, è una madre tutta sui generis, che ben presto si scopre essere in realtà il padre di Yūichi: la grande trovata della scrittrice è che la famiglia si possa non solo scegliere, ma inventare.
Nonostante i nuovi affetti, l’insidia della morte non la lascerà in pace, finché non diventerà orfana per la seconda volta, questa volta insieme a Yūichi…
Banana Yoshimoto con estrema delicatezza racconta così la solitudine giovanile, la perdita degli affetti più cari, il valore della famiglia, l’amicizia, l’amore, l’omosessualità; fa toccare con mano e vedere con gli occhi quanto è immenso il mondo e profonda l’oscurità, e il fascino e la solitudine di tutto ciò.
Mikage è la consapevolezza che su quel sentiero buio e solitario l’unica luce possibile è quella che noi stessi emaniamo.
Kitchen non dispensa ricette ma speranza, necessaria insieme all’energia, per risalire e scoprire che il baratro è solo un mezzo per tornare a nuova vita.