L’acqua di Roma è la più buona d’Italia, peccato sia avvelenata
Roma si trova a fronteggiare un vero e proprio stato di emergenza
"L'acqua di Roma è la più buona d'Italia, peccato che sia avvelenata". Antichi detti popolari rinnegati ormai dalla storia dell’arsenico nell’acqua che non è più tabù nella nostra città: ci si convive rabbiosamente e forse con volontaria inconsapevolezza.
Ma cos’è l’arsenico? Si tratta di un elemento chimico presente nelle rocce che in passato è stato adoperato abbondantemente per la conservazione del legno e in agricoltura come pesticida. Il problema nasce nel momento in cui, una volta estratto dalle rocce per poi essere utilizzato nel settore industriale, viene disperso nell’ambiente, il che non avrebbe alcuna importanza se non fosse altamente tossico per gli esseri viventi.
Il 28 febbraio 2014 il Dipartimento Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione urbana ha diffuso un’ordinanza che vieta espressamente di utilizzare l’acqua per il consumo umano (uso alimentare e igiene personale e ogni altro utilizzo) fino al 31 dicembre 2014; tale divieto riguarda alcune zone dei Municipi XIV e XV, servite dagli acquedotti gestiti dall’Arsial ossia Malborghetto, Camuccini, Piansaccoccia, Monte Oliviero, Santa Maria di Galeria, Brandosa, Casaccia-S. Inoltre nella medesima ordinanza si legge di una fantomatica “predisposizione da parte del Dipartimento Comunicazione, manifesti tipografici per la massima diffusione e conoscenza della popolazione locale residente, in particolare in corrispondenza dei numeri civici delle strade interessate dal divieto”. Di tutto ciò nemmeno l’ombra.
Il divieto è scaturito a seguito delle analisi effettuate dall’Asl Roma C che hanno evidenziato “acqua con caratteristiche chimiche e batteriologiche ovvero solo batteriologiche non adatte al consumo umano a causa del superamento dei valori di parametro prescritti”. Sebbene da anni la notizia dell’arsenico nelle acque romane sia diventata voce diffusa, i cittadini mai si sarebbero aspettati di subire un veto totale di utilizzare l’acqua (non solo per uso alimentare, ma anche igienico) accompagnato da un improvviso all’allarmismo.
E’ doveroso ricordare che l’Arsial ha ripetutamente chiesto la presa in carico da parte di Acea Ato2 Spa di alcuni acquedotti, presa in carico che attende dal 2004, momento in cui è stato firmato il Protocollo d’intesa tra Regione Lazio, i Comuni di Roma e di Fiumicino e le associazioni di imprese tra cui ACEA per “interventi di sistemazione degli acquedotti ARSIAL … e loro inclusione nel Servizio Idrico”. Nell’anno precedente, la Giunta della Regione Lazio aveva previsto un apposito “stanziamento di 13,5 milioni di euro per la ristrutturazione, l’adeguamento e la manutenzione straordinaria”. La questione si è ormai ridotta ad un botta e riposta piuttosto piccato tra Arsial e Acea con conseguente palleggio di responsabilità e con un risultato invariato. Come se non bastasse le autobotti promesse contenenti acqua potabile, in alcune zone interessate dal divieto, non si sono viste per giorni e nessun comunicato ha provveduto ad alleviare le preoccupazioni accese dall’emergenza lanciata pochi giorni prima.
In alcuni comuni però le persone non si sono scoraggiate e grazie all’intervento del Codacons, hanno ottenuto dal Tar del Lazio un risarcimento dovuto all’illegittimità del fatto che ha esposto gli utenti del servizio idrico ad un fattore di rischio continuativo riconducibile in buona parte alla violazione delle regole di una buona amministrazione.
Ma l’arsenico nel nostro paese ha una storia che parte da molto lontano. Nel 2001 l'Ue, recependo nuovi orientamenti della comunità scientifica internazionale, ha diramato la direttiva DWD, Drinking Water, recepita in Italia con decreto, appunto, nel 2001. In tale testo venivano radicalmente abbassati i livelli tollerabili di arsenico e di altri inquinanti nelle acque potabili: se il testo precedente pretendeva un livello massimo di 50 microgrammi per litro, il nuovo testo ha imposto un tetto di 10 micro su litro. Nel 2010, ben nove anni dopo, l’Unione Europea ha bloccato l’ennesimo tentativo dell’Italia di rimandare l’applicazione dei limiti dell’arsenico contenuti nell’acqua di rubinetto. L’Ue ha sollecitato più volte il nostro Paese a procedere con le ordinanze al fine di rendere l’acqua potabile nei 128 comuni in cui i limiti superano i 10 microgrammi per litro: alla richiesta del Belpaese di ulteriori proroghe la risposta dell’Europa è stata fermamente negativa. La Commissione ha specificato che in base alle linee guida dettate dall’organizzazione mondiale della sanità, le proroghe sono consentite fino ai 20 milligrammi per litro, ma i valori in questione superano i 40 milligrammi per litro rappresentando un serio rischio sanitario.
Non avendo mai messo in pratica alcuna misura di prevenzione o di azione programmata, l’Italia si trova a dover fronteggiare, al solito, uno stato di emergenza. I luoghi comuni talvolta sono l’espressione della verità purtroppo: nel nostro paese si preferisce curare e quasi mai prevenire.