L’allarme dei geologi e le responsabilità storiche e politiche di frane e crolli
Dalle strade che si sbriociolano alle piene dei fiumi; l’urbanizzazione sconsiderata e nessuna verifica sul campo
Venezia si è allagata come nel 1966 ed è la terza acqua alta eccezionale negli ultimi venti anni, a Nettuno ieri i tombini sbuffavano acqua come geyser, a Torvaianica la settimana scorsa ha imperversato una tromba d’aria, ieri la frana sul viadotto A6…se è vero che generalizzare può creare confusione e allarmismo, è però anche vero che qualcosa di anomalo sta davvero accadendo nel nostro Paese e probabilmente nel mondo.
Ne abbiamo parlato con il Presidente dell’Ordine Geologi di Roma e del Lazio Roberto Troncarelli, che ci ha fornito un’analisi completa e senza retorica delle responsabilità che rendono così fragile il nostro territorio; quelle storiche dell‘urbanizzazione forsennata dagli anni ’50, fino alle operazioni utili al consenso mediatico dei politici ma inefficaci sulla sicurezza del territorio.
I fenomeni climatici e geologici sono più correlati di quanto pensiamo?
“Sì, sicuramente c’è un nesso e questo rapporto negli ultimi 50 anni si è consolidato; l’abbandono delle campagne e delle pratiche agricole e quindi l’accentramento e aumento demografico nelle città ha comportato una maggiore superficie impermeabilizzata e di ettari che non assorbono più le piogge. Il “consumo di suolo” che avviene con l’urbanizzazione, causa la perdita della capacità di evitare le inondazioni, le frane e gli allagamenti. Il boom economico dell’Italia non ha tenuto conto della natura, che non modificava il proprio regime mentre noi modificavamo il territorio. Le pratiche agronomiche permettevano di controllare il territorio, proprio visivamente e anche dai centri di monitoraggio situati nelle aree sensibili.
Noi geologi non amiamo le espressioni come ‘bombe d’acqua’, in realtà se facessimo una stima della quantità d’acqua che cade annualmente non vedremmo un incremento totale ma solo una diversa distribuzione delle piogge durante l’anno con maggiore concentrazione durante gli eventi di picco. Dunque qualcosa sicuramente è cambiato ma non nella quantità”
Quanto incidono le responsabilità politiche di oggi oltre a quelle “storiche” di ieri?
“Se poi ci mettiamo la scarsità di manutenzione, ad esempio quella che si occupa di togliere le foglie che occludono i tombini ci rendiamo conto che in passato vi erano enti preposti a queste funzioni, ora invece la filiera dei compiti è confusa. Oggi anche solo rimuovere un tronco, nessuno degli enti amministrativi, regionali, comunali, vigili del fuoco, enti ambientali, giardinieri addetti sanno a chi spetta il compito…i vecchi uffici dei geni civili erano enti virtuosi e puntuali, c’erano esperti che si recavano sul luogo, si sporcavano mani e scarpe per fare sopralluoghi e verifiche sul degrado o pericoli. Se il viadotto sulla Savona-Roma fosse stato sotto presidio e tutela, forse il crollo non sarebbe avvenuto. Noi geologi ci battiamo senza sosta per ottenere uffici di presidio sul territorio. Oggi la carenza di organico, che si occupa di pura burocrazia e non svolge nessuna sorveglianza del terreno, del letto dei fiumi sono una mancanza gravissima…gli ufficiali idraulici e altre figure virtuose che non esistono più, come così i casellanti ferroviari, tutti ruoli che si sono persi, vivevano in casine e gabbiotti con le loro famiglie e la loro sorveglianza era vitale. La tecnologia deve aiutare ma non può sostituire la verifica sul campo, perché dai satelliti questi fenomeni non si vedono.”
Un intreccio storico-ambientale e sociale complesso che risale anni ’50, con responsabilità che diventano poi anche politiche e amministrative. Non è preoccupante solo il cambiamento climatico ma anche l’eliminazione di figure competenti sul territorio.
“Occorrono anche calcoli sulle possibilità di assorbimento dell’acqua piovana e dei fiumi, non si può solo osservare dalle telecamere senza fare previsioni scientifiche sulla distribuzione delle acque. I danni dell’urbanizzazione dissennata non possono essere arginati solo dagli organi amministrativi centrali, servono uomini sulle strade e nelle campagne.”
Com’è la situazione a Roma dal punto di vista geologico e del suolo?
“L’Infernetto, Ostia, il Labaro, Prima Porta, Castel Giubileo sono tutte zone a rischio, le sponde del Tevere sono colme di vegetazione e le arcate si riempiono di tonnellate di rami le quali devono essere prese e portate via… ma come le dicevo non si sa più da chi!”
Tronconi stradali del Lazio come la A24, o la Roma-Napoli presentano rischi pericoli per la stabilità del territorio e quindi le loro infrastrutture sono sicure?
“Sulla Roma-Napoli mi sentirei di rassicurare che non ci sono particolari rischi di frane o complicazioni morfologiche, mentre sulla A24 e sulla A25 direi il contrario: sono aree critiche de hanno anche più di 40 o 50 anni di vita. La manutenzione non può essere fatta una volta in un secolo, e ripeto: bisogna andare sul posto come ho detto per le zone boschive o naturali, vale anche per le infrastrutture”
Le risorse economiche quanto incidono in questa irresponsabilità verso le criticità idrogeologiche?
“L’argomentazione politica adduce spesso alla mancanza di fondi, ma è un pretesto perché il denaro per ricucire dopo i danni si trova, mentre solo per la prevenzione viene tirata fuori la scusa del denaro. Si sceglie di fare solo gli interventi che sono mediaticamente vistosi e non quegli interventi non visibili ma che mettono in sicurezza i cittadini dal profondo. I politici non spendono per ciò che non da consenso visivo. E poi si piange e si contano i danni quando accadono disastri.