L’Europa tra passato e futuro: Fascino senza tempo
Un pensiero che ci insegna a ritrovare l’equilibrio tra noi stessi e il cosmo, è quanto di meglio il nostro tempo possa desiderare
I dispositivi digitali hanno preso e stanno prendendo uno spazio sempre più ampio nelle nostre vite, tanto da relegare i libri a un ruolo sempre più marginale, soprattutto nelle esistenze dei più giovani. Stando così le cose, è legittimo porsi la domanda: il pensiero antico, prima greco e poi romano, può ancora parlare ad un’epoca come la nostra? Ci offre ancora un approccio plausibile alla realtà, sia dal punto di vista conoscitivo che pratico?
La storia della filosofia antica ha attraversato diverse fasi. Una prima fase aurorale, corrispondente al pensiero dei presocratici, i sapienti che da Talete ad Anassagora, fino a Socrate escluso, hanno dato inizio al pensiero occidentale. Una seconda fase corrispondente ai nomi di Socrate, Platone e Aristotele, certamente la più ricca ed interessante teoreticamente.
Una terza fase, in epoca ellenistica e romana, in cui a dominare furono epicureismo e stoicismo. Infine, una quarta ed ultima fase, cronologicamente corrispondente alla fine del mondo antico, in cui ad essere centrale fu il neoplatonismo.
Ora che la scienza la fa da padrone, sul piano conoscitivo, l’aspetto pratico e sapienziale del pensiero filosofico antico torna a mostrare tutto il suo interesse. In particolar modo un fenomeno di capitale importanza come fu lo stoicismo. Fondato da Zenone di Cizio a cavallo tra IV e III secolo a. C., esso prese il nome dalla Stoa poikile, il portico dipinto in cui il filosofo teneva le sue lezioni.
Tra i testi della tradizione stoica, il “Manuale di Epitteto” riveste un’importanza cruciale. Tra le edizioni in italiano accessibili al grande pubblico, quella Einaudi è accompagnata da un magistrale commento di Pierre Hadot, storico del pensiero antico, che si è occupato di interpretare la filosofia greca come saggezza e pratica di vita. La grande importanza di questo testo è anche dimostrata dal fatto – particolarmente significativo per noi italiani – che quel grande classicista che fu Giacomo Leopardi lo volle tradurre per intero.
Epitteto fu uno schiavo vissuto a cavallo tra I e II secolo d. C., al tempo dell’impero romano, ma non fu l’autore del testo che porta il suo nome. A redigere il piccolo e prezioso libro fu Arriano di Nicomedia, alto funzionario imperiale che, da giovane, volle essere – per Epitteto – ciò che Senofonte era stato per Socrate (più di un secolo e mezzo prima, era stato un altro grande romano, Cicerone, ad innamorarsi di Senofonte).
Arriano è autore anche di un altro testo capitale della cultura occidentale, quell’“Anabasi di Alessandro” che narra le gesta del Macedone e che, insieme ad autori come Plutarco e Curzio Rufo, è tra le principali fonti antiche concernenti Alessandro Magno.
Il caposaldo dell’insegnamento di Epitteto è che l’uomo, per assumere una condotta moralmente coerente, deve occuparsi solo delle cose che dipendono dalla sua volontà, senza lasciarsi distogliere da tutti quegli avvenimenti, comprese le malattie e la morte, che non dipendono dal nostro controllo. Solo così è possibile raggiungere quella saggezza che, in quanto felicità, è accordo con sé stessi e con il mondo.
Ora, ritornando a noi che viviamo in un’epoca di globalizzazione digitale, è possibile affermare che un pensiero che ci insegna a ritrovare l’equilibrio tra noi stessi e il cosmo, è quanto di meglio il nostro tempo possa desiderare. Stiamo dimenticando noi stessi e ciò accade ogni giorno di più. Ne risentono i giovani, che spesso si ritrovano gettati in situazioni di disperazione incommensurabile. Ne risentono coloro che sono fragili, sempre più incapaci di rendere conto a sé stessi delle radici autentiche della loro sofferenza.
Stretti dalla fretta, da assurdi fatti di cronaca, dalla cattiva politica, assaporiamo il frutto amaro dell’insensatezza, senza sapere come porvi rimedio. Epitteto e Arriano ci insegnano la via. Basta alzare lo sguardo dal telefonino e rivolgerlo verso il cielo.