L’Europa tra passato e futuro, Il figlio del secolo
Ammirato da Colette e da M. Yourcenar, colui che riceveva i pensieri più riposti di Heidegger e di Carl Schmitt, ebbe uno degli sguardi più lucidi del secolo
Ci sono personaggi che segnano di sé un’epoca, lasciando un’impronta indelebile. Ernst Jünger ha intrecciato la sua lunga vita con quella del secolo breve, in una maniera che ha lasciato un solco. Per accostarsi alla sua opera, vasta, complessa, potente, esiste un piccolo libro, “I Prossimi Titani. Conversazioni con Ernst Jünger” (Adelphi, 1997), scritto da Antonio Gnoli, firma culturale di “Repubblica”, e dal compianto Franco Volpi, tra i massimi specialisti italiani dell’opera di Heidegger, che ha il pregio di introdurci a Jünger, attraverso le sue stesse parole.
Il pretesto per la composizione furono i cento anni del grande intellettuale, nel 1995. Attraverso questa occasione, Jünger volge il suo sguardo all’indietro, al secolo passato e al suo ruolo in esso e, contemporaneamente, lo volge in avanti, verso l’epoca in cui stiamo entrando, quella dei Titani, appunto (l’espressione è ripresa da Hölderlin).
Per i disfattisti poco onesti di casa nostra, bisogna segnalare che, tra i molti inviti ricevuti dal patriarca per festeggiare il suo centesimo compleanno, tra cui quelli di Mitterand e Kohl, uno gli giunse dal sindaco di Venezia. Quel sindaco era Massimo Cacciari, tra i più sensibili e attenti interpreti dell’opera di Jünger, nel nostro paese.
L’eroe della Prima guerra mondiale dall’indomito coraggio, il brillante e geniale autore di “Nelle tempeste d’acciaio” (1920), il grande intellettuale che, con le sue idee sulla Mobilitazione totale e sul Lavoratore, influenzò Martin Heidegger, l’uomo che fece attendere Hitler fuori dalla porta senza riceverlo, che scrisse un romanzo (“Sulle scogliere di marmo”) favorevole al tirannicidio quando la forza dei nazisti sembrava irresistibile, l’ufficiale della Wehrmacht che, a Parigi, durante la Seconda guerra mondiale, era ammirato da Colette e da M. Yourcenar, colui che riceveva i pensieri più riposti di Heidegger e di Carl Schmitt, che provò l’Lsd con Hofmann – ebbe uno degli sguardi più lucidi del secolo.
In questo Jünger era un allievo dei Greci: la lucidità teoretica si guadagna quando la mente ha la capacità di rimanere fredda. Questo le conferisce anche la capacità visionaria, che al nostro non faceva difetto. Che il quadro filosofico-politico del suo pensiero, come nel caso dei suoi due sodali Heidegger e Schmitt, appartenga all’area conservatrice, ha un’importanza marginale.
Jünger ribadisce di muoversi su un altro piano rispetto alla politica e fu Hannah Arendt a rendergliene merito. Solo Karl Kraus, con la sua opera “Gli ultimi giorni dell’umanità”, si è spinto più a fondo di lui nella comprensione degli orrori della Prima guerra mondiale. Il problema del pensiero di Jünger era la tecnica e il nuovo ruolo assunto dall’esperienza umana in questo processo.
Si tratta del vero grande problema del nostro tempo. Si pensi alla neonata rivoluzione digitale, alla trasformazione della comunicazione, avvenuta nell’ultimo quindicennio. Al ruolo che i supporti digitali hanno assunto nella vita quotidiana di noi tutti. Questo se lo ricordano bene i meno giovani, che compravano i giornali in edicola e che, una volta usciti di casa, per telefonare avevano bisogno di trovare una cabina con telefono a gettoni.
Jünger ha definitivamente compreso l’irreversibilità di questi processi e i grandi pericoli che vi sono connessi. Tempra umana fortissima, quasi glaciale, ma allo stesso tempo in grado di donare ai suoi lettori un ardore intellettuale unico, egli fu uno degli ultimi esponenti di quella cultura tedesca che, da metà del Settecento in poi, fece ritornare lo spirito europeo, dopo la cultura greca classica e il Rinascimento italiano, alla sua dimensione di Assoluto.
La profezia relativa ai Titani, del resto, è ancora più disperata. Stiamo entrando in un’epoca in cui la cultura autentica non avrà più alcun ruolo. Per ora, tutto sembra confermarlo. (Foto: Ernst Junger)