L’Europa tra passato e futuro, l’arte dell’aforisma
La tecnica stilistica di Adorno è straordinaria ed ebbe i propri ispiratori in Karl Kraus e in Walter Benjamin, entrambi autori di meravigliosi libri di aforismi
Ci sono libri su cui ha soffiato, e continua a soffiare, un’aura leggendaria. Sono intorno a noi, sugli scaffali delle nostre librerie, basta saperli individuare. Sono quei libri in grado di cambiare le nostre vite, di renderci diversi da quello che eravamo prima. L’unico problema è che, spesso, questo incremento della nostra consapevolezza, coincide con l’aumento, e non con la diminuzione, della nostra sofferenza. Del resto, Nietzsche pensava che l’autentico terreno su cui si giocano le questioni decisive della conoscenza, sia quello tragico.
Uno di questi libri è “Minima Moralia. Meditazioni della vita offesa” di Theodor W. Adorno, uscito in tedesco nel 1951 e dedicato a Max Horkheimer, il ‘leader carismatico’ della Scuola di Francoforte (con cui Adorno scrisse, a quattro mani, la “Dialettica dell’illuminismo” del 1947). Diviso in tre parti, relative al 1944, al 1945 e al 1946-47, il libro si compone di 153 aforismi.
La tecnica stilistica di Adorno è straordinaria ed ebbe i propri ispiratori in Karl Kraus e in Walter Benjamin, entrambi autori di meravigliosi libri di aforismi (tradotti anche in italiano), nonché i suoi massimi modelli nei libri aforistici di Nietzsche.
Si tratta di un libro tragico, troppo riduttivo chiamarlo pessimistico. La tragedia di due guerre mondiali, la tragedia del nazismo e dello stalinismo, la tragedia delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki, la tragedia degli ebrei, quella del dominio tecnico sulla natura, quella di una società funzionalista e manageriale, che è agli albori della nostra (Adorno compose il libro durante il suo esilio americano), la tragedia del nichilismo, del crollo della cultura europea e dell’industria culturale, la tragedia della stessa forma dell’individualità, quella dello scientismo imperante, rendono “Minima Moralia” un libro disperato.
Un libro da cui siamo scavati in profondità. Di fronte a questo tipo di opere, possiamo fare due cose: mettere via il libro, e sforzarci di non pensare, oppure rispondere alla sfida a cui esso ci chiama. Certo, con gli anni si impara che non è possibile vivere all’altezza di “Minima Moralia”, ma – come ha scritto Roberto Calasso – si resta per sempre grati a quel libro che, per la prima volta, ci ha insegnato a vedere.
Sebbene la sua opera complessivamente considerata sia piena di perle straordinarie – dalla stessa "Dialettica dell’illuminismo", cui si accennava, alla “Filosofia della musica moderna”, che tanto impressionò Thomas Mann, alle monografie su Wagner e Mahler, a “Prismi”, in cui, nel primo saggio, è contenuta la celebre frase sull’impossibilità della poesia dopo Auschwitz, al libro su Husserl, a quello su Hegel, alle “Note per la letteratura” in quattro volumi, alla “Dialettica negativa” del 1966, alla “Teoria estetica” uscita postuma – è possibile dire che “Minima Moralia” è una gemma anche in un’opera tanto eccelsa, come quella di Adorno.
Nonostante, al pari di Marx, Lukács, Bloch, Horkheimer, Adorno fosse un pensatore dialettico, ossia tale da individuare in Hegel l’ispiratore del proprio metodo, egli aveva il suo esatto contrario e speculare in Heidegger che, da posizione apparentemente antitetica, condivideva con lui una serie di istanze: la vocazione totalitaria della ragione occidentale, i rischi della scienza e della tecnica, l’orrore per le tragedie del Novecento, la fiducia nella poesia, l’attenzione a Hegel e Nietzsche come pensatori epocali, la necessità di superare la metafisica. Analogamente al modo in cui Marx e Nietzsche furono filosofi tanto nemici, quanto gemelli.
Ma, coerentemente alla lezione di Benjamin, il suo marxismo dialettico era messianico, ossia l’altro volto della tragedia era l’utopia, la conciliazione e la redenzione messianica. Parlare di identità ebraica nel messianismo di Benjamin e Adorno, così come in Kafka e Kraus, risulta, dunque, perfettamente adeguato. La complessità del pensatore Adorno non ha, perciò, aiutato la diffusione della sua opera. Saper pensare sulla scia di Hegel e saper scrivere sulla scia di Proust, hanno prodotto, come conseguenza paradossale, che la sua opera non riesca ancora a trovare il riconoscimento dovuto.