L’Europa tra passato e futuro: la china della tragedia
Come nel caso, analogo e coevo, di Van Gogh, i due poli, l’opera e la malattia, sono tutt’uno e rendono la vicenda biografico-speculativa di Nietzsche tanto trascinante
Quando la filosofia diventa mito, oltrepassa il campo degli addetti ai lavori e arriva a forme di cultura più popolari e accessibili al grande pubblico, come, ad esempio, il cinema, la letteratura, il fumetto. È successo a Nietzsche, ma non solo – si pensi a film come “Giordano Bruno” di Giuliano Montaldo e “Hannah Arendt” di Margarethe von Trotta. Tra le novità che ci arrivano dalla Francia, c’è un’opera di graphic novel “Nietzsche. La stella danzante” (Ferrogallico 2018) scritta dal filosofo Michel Onfray e illustrata da Maximilien Le Roy.
La frase completa di “Così parlò Zarathustra” da cui proviene il titolo di quest’opera, merita di essere ricordata. Essa dice: “bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante” (Prologo, 5). Dunque, in quell’esperienza totale del mondo che Nietzsche fu, da una parte abbiamo la stella danzante, ossia la sua grande opera, ma dall’altra abbiamo il caos interiore da cui essa scaturì, con la fine nella follia e nell’insensatezza.
Come nel caso, analogo e coevo, di Van Gogh, i due poli, l’opera e la malattia, sono tutt’uno e rendono la vicenda biografico-speculativa di Nietzsche tanto trascinante. Giustamente un filosofo tanto versato per la dimensione esistenziale come Karl Jaspers si interrogò, diversi decenni fa, sul nesso “genio e follia” (questo il titolo della traduzione italiana), attraverso i casi comparati di Strindberg, Swedenborg, Hölderlin, Van Gogh.
Due elementi emergono, allora, da questa monografia in forma di fumetto dedicata a Nietzsche: il primo è che un lavoro di graphic novel fa parecchia fatica a trattenere il contenuto filosofico dei pensieri di Nietzsche; l’altro è che, invece, il momento del caos interiore del filosofo, risulta con una certa efficacia.
Nietzsche è, letteralmente, piegato da quella dimensione tragica che si esprime nella sua filosofia. Geme, soffoca, sussulta si contorce – e anche per chi non è un novizio nello sperimentare le sofferenze di questa vita, fa un certo effetto vedere Lui piegato, afflitto, colpito in questo modo.
Non che la vita di Nietzsche non fosse nota, il livello della sua tragedia personale, anche prima della crisi definitiva del gennaio 1889 – che Thomas Mann sfruttò magistralmente per la conclusione del suo “Doktor Faustus” (1947) – ma la peculiarità di un lavoro di graphic novel è appunto, come nel cinema, di offrirci l’immagine, di restituirci lo sguardo e la vista su una vita impossibile, che fu tutta immolata alle esigenze alchemiche dell’Opera.
Si pensi ai termini dell’impresa. In diciassette anni, dal 1872 al 1889, Nietzsche dà alla luce la “Nascita della tragedia”, le quattro “Considerazioni inattuali”, “Umano, troppo umano”, “Aurora”, “La gaia scienza”, “Così parlò Zarathustra”, “Al di là del bene e del male”, “Genealogia della morale”, “L’anticristo”, “Crepuscolo degli idoli”, “Ecce homo”, nonché i frammenti relativi al progetto della “Volontà di potenza” (su cui l’edizione Colli-Montinari ha fatto definitiva chiarezza).
È ovvio che nessuna tempra umana, nemmeno la sua, poteva reggere un ritmo di quella intensità, in cui le ragioni della vita erano state completamente sacrificate a quelle dell’opera. Del resto, qui, il termine ‘sacrificio’ va inteso nel suo significato tecnico, mitico-simbolico, come era vissuto dai greci e dai romani.
La sua opera preparò il secolo successivo, ma non nel senso di avere la responsabilità della nascita del fascismo degli anni ’20 e ’30, il cui legame con la filosofia di Nietzsche è estrinseco. Ma nel senso di avere impostato i termini in cui il pensiero del XX secolo si è mosso. I suoi degni eredi li trovò in Heidegger e Jaspers, in Adorno e Foucault, in Löwith e Colli, che ne hanno raccolto il testimone, meditando profondamente l’opera sua.
Ai giovani resta, intatto, il mistero e l’incanto della sua parola. A partire dall’incipit dell’ultima incredibile lettera che Nietzsche scrisse, nel gennaio 1889, all’amato Jacob Burckhardt: “Caro signor professore, in fin dei conti sarei stato molto più volentieri professore a Basilea piuttosto che Dio; ma non ho osato spingere il mio egoismo privato al punto di tralasciare per colpa sua la creazione del mondo”. Con queste parole, Nietzsche si congedava dal mondo umano, per ritornare al suo amato Dioniso.