L’Europa tra passato e futuro: Una lente ustoria
Con la Seconda guerra mondiale davanti agli occhi credette che fossero Platone e il cristianesimo a dover essere profondamente e radicalmente ripensati
L’aspetto che rende drammatico il nostro presente, insieme al trionfo della dimensione economica e di quella tecnica, al rischio ecologico e al populismo xenofobo, è la mancanza di memoria storica, l’inconsapevolezza relativa alle radici della cultura occidentale, al senso profondo della nostra tradizione.
Simone Weil, pensatrice e mistica francese vissuta nella prima metà del Novecento, ha dedicato le energie migliori dei suoi ultimi anni, a scavare nei meandri della cultura europea. Con la Seconda guerra mondiale davanti agli occhi credette, giustamente, che erano Platone e il cristianesimo a dover essere profondamente e radicalmente ripensati.
Ciò era valido allora, come lo è oggi. Il passato non è un orpello inutile, cui dedicare fatiche che potrebbero essere spese meglio. Come vide Croce, nel grande saggio del 1930 intitolato “Antistoricismo” (oggi più attuale che mai), il nesso di passato-presente-futuro è ciò che ci caratterizza in quanto uomini. Se c’è un pericolo della rivoluzione digitale, è di incrementare ulteriormente questo processo, in cui è lo stesso oggetto libro ad essere divenuto sospetto.
Succede spesso che un picco di genialità, in musica letteratura pensiero profezia arte, si accompagni alla brevità di una vita, di un singolo passaggio terreno. La Weil attraversò l’esistenza come una meteora, stretta tra la passione politica e quella conoscitiva. Non a caso la sua figura fu un faro nella vita di Cristina Campo, altra scrittrice che aveva come unica religione l’Assoluto.
Tra i lavori degli ultimi anni – Simone Weil morì nel 1943, a trentaquattro anni – si segnalano “La rivelazione greca” e “La persona e il sacro”, entrambi pubblicati in italiano da Adelphi, con la curatela di Giancarlo Gaeta e Maria Concetta Sala. A partire dal saggio “L’Iliade o il poema della forza” –indubbiamente uno dei grandi testi del pensiero del Novecento – Weil scava in Omero, nei tragici, in Eraclito, in Platone, nei “Vangeli”, nei pitagorici, cercando risposte con la maiuscola ai grandi problemi dell’esistenza umana.
Tutti gli orpelli inutili, l’erudizione, il contesto storico, vengono lasciati cadere, perché si vada dritti al cuore delle cose: la forza, il problema di Dio, l’amore, la giustizia, la compassione.
Lo sguardo di Simone è mistico, più che filosofico, le grandi catene argomentative e deduttive sono messe in secondo piano, rispetto alla potenza fulminea (e femminile) dell’intuizione, che raggiunge con grande rapidità l’oggetto contemplato. Se si dovesse esprimere con un’immagine simbolica la sua operazione conoscitiva, si potrebbe usare l’espressione: Platone a Gerusalemme.
Una frase di “La persona e il sacro”, che Gaeta utilizza come citazione iniziale del suo saggio pubblicato alla fine di “La rivelazione greca”, può aiutare a comprendere la posizione di Weil. La frase dice: “in verità l’albero è radicato nel cielo”.
Ciò che è importante capire, è che di questa persuasione si è nutrito tutto l’Occidente, la cui anima culturale profonda, per Weil, si caratterizza per l’unione di spirito greco e di spirito cristiano (ebraismo e cultura latina, grandi assenti in questo ripensamento della cultura europea, non erano particolarmente amati da Weil).
Ora può sembrare legittima la domanda che si interroghi sul senso che può avere ancora per noi tutto questo, nell’epoca dei viaggi nello spazio e di una realtà che tende, sempre più, a farsi virtuale.
La risposta diviene particolarmente efficace, se si sposta il discorso sul piano del singolo individuo. Si immagini un bambino, e poi un adolescente, che si prepara a camminare, nella vita e nel mondo, ma non conosce i nomi dei genitori né quelli dei nonni, che del passato dei suoi ignora tutto, che non ha mai ascoltato i propri nonni parlare della propria giovinezza o che ignora come i suoi genitori si sono conosciuti.
Appare evidente, che questo bambino non potrebbe fare molta strada nel futuro, visto che è privo di qualsiasi memoria del passato. Il nostro presente assomiglia, sempre di più, a quel bambino senza passato.