L’Europa tra passato e futuro: uno sguardo in profondità
Dedicò tutta l’intelligenza del suo pensiero alla decadenza della politica nella civiltà occidentale
Il Novecento è stato un secolo tanto ricco di cultura, quanto di tragedie. Per le generazioni recenti che, sempre di più, crescono prive di memoria, esso può apparire lontano, ma per chi ha superato i quarant’anni, e soprattutto per le generazioni più anziane, si tratta di un pezzo importante, ineliminabile, della propria vita e della propria storia.
Le grandi opere dello spirito europeo del secolo scorso sono specchi, in cui studiare l’immagine riflessa dell’uomo contemporaneo. Questa immagine può non piacerci, procurare angoscia, tentativi di rimozione, ma è lì a richiedere la nostra attenzione. La caratteristica di una pensatrice come Hannah Arendt è di restituirci tanto il senso della tragedia che quello della speranza.
La più importante studiosa internazionale del suo pensiero, Elisabeth Young-Bruehl, ha sottotitolato la sua biografia della Arendt, con l’espressione For Love of the World, “per amore del mondo”. Il volto di Hannah Arendt, tanto da giovane quanto nella maturità e nella vecchiaia, ha l’apertura solare che reca traccia di questo sentimento.
Cresciuta alla scuola di Heidegger e Jaspers – con i quali intrattenne carteggi tra i più belli del secolo – dedicò tutta l’intelligenza del suo pensiero alla decadenza della politica nella civiltà occidentale, in particolare a quell’evento drammatico che fu il totalitarismo, tanto nazista che sovietico.
La sua idea era che l’Europa avesse bisogno di recuperare, politicamente, le proprie radici, sia greche che cristiane. La polis, per come si configurò storicamente, tra il V e il IV secolo a. C., in realtà come Atene, era il modello cui guardare. Lo spazio pubblico in cui gli uomini avessero la possibilità di confrontarsi tra pari, in cui si creava l’occasione per far risuonare le parole e le gesta di uomini grandi, era l’esperienza storica che, per Arendt, doveva funzionare da faro.
L’altra idea guida era il concetto evangelico di nascita. Con ogni nuovo nato il mondo ricomincia di nuovo, ed è qui che il totalitarismo perde la sua battaglia. Poiché se ogni uomo è portatore di novità, vuol dire che non siamo completamente uniformabili, nemmeno in condizioni estreme come quelle dei Lager. “Non l’Uomo, ma gli uomini abitano questo pianeta. La pluralità è la legge della terra”.
Questa frase è forse la più rappresentativa di tutto il suo pensiero. Che riflettesse su temi capitali come la rivoluzione, la violenza o la vita della mente, era sempre questo giro di pensieri a sostenere la sua articolazione filosofica, potente e brillante insieme, cui un’arguzia tutta femminile conferiva un tocco unico.
Non è difficile, dunque, comprendere quanto l’elaborazione del pensiero politico di Hannah Arendt, sia importante anche per il nostro presente. Meditare sulla tragedia del totalitarismo, perché non debba succedere mai più, che gli uomini si infliggano tanto male l’uno con l’altro. È una lezione di rigore etico – e si pensi allo stupendo libro che Arendt dedicò a Eichmann e alla banalità del male nel 1963.
L’altra è una lezione di libertà, soprattutto ora che lo spazio pubblico è diventato digitale e virtuale. Lo spazio pubblico in cui far risuonare azioni e parole grandi, custodisce la libertà degli uomini nell’interazione reciproca, nella franchezza del confronto e della discussione.
Riflettere sul pensiero di Hannah Arendt ci offre, inoltre, lo spunto per fare una considerazione sulla decadenza culturale del presente. Non solo non ci sono più figure di questa levatura, ma è divenuta sempre più diffusa la tendenza ad ignorarle completamente.
La fretta, i ritmi produttivi e della comunicazione, gli aspetti virtuali hanno creato un’umanità schiacciata sul presente, che per i grandi pensieri ha poco spazio. Eppure, da sempre, è il pensiero ad aprire lo spazio per il futuro. Senza il pensiero, l’umanità non sarebbe più la stessa, ed accorgersene troppo tardi, significa correre, ancora una volta, un rischio davvero alto.