L’Europa tra passato e presente, “La vertigine del passato”
La nostra tradizione corre lungo ventotto secoli come un fiume maestoso, ricchissimo di opere di primo piano
Il passato europeo – la filosofia, la letteratura, la storia dell’Occidente – è fatto, al pari delle altre grandi tradizioni dell’umanità, di paesaggi e luoghi della mente. Di scenari dell’anima. La nostra tradizione corre lungo ventotto secoli come un fiume maestoso, ricchissimo di opere di primo piano, su cui la ricerca specialistica annovera decine di migliaia di commenti e riflessioni critiche, quantomeno per gli snodi centrali e di maggiore importanza.
Se si dovesse enucleare una caratteristica fondamentale della cultura dell’Occidente europeo, che la differenzia da tutte le altre grandi tradizioni dell’umanità – quella islamica, quella indiana, quella cinese, quella africana – essa deve essere individuata nel processo di laicizzazione e secolarizzazione del nostro pensiero razionale, che ha condotto alla scienza moderna e contemporanea.
L’altra caratteristica fondamentale sta nella contrapposizione tra l’umanesimo greco-romano e il cristianesimo. Non a caso “Ecce homo” (1888-1908) di Nietzsche si conclude con le parole: “Sono stato capito? Dioniso contro il Crocifisso…”. Si tratta dell’ultima parola dell’opera di Nietzsche, che poco dopo sprofonderà nelle tenebre della follia, senza riemergerne più. Ma già il Rinascimento italiano, e poi Goethe e l’idealismo tedesco, avevano lavorato potentemente sul senso di questo dissidio originario, che è alla base della cultura europea e occidentale.
La particolarità di questi grandi momenti di ripensamento delle origini della nostra cultura, fu quella di sentire il passato e la tradizione come una cosa viva. Se ciò oggi risulta quasi impossibile, la colpa è anche della scuola e della settorializzazione specialistica. Ed è un merito di intellettuali irregolari ed eccentrici, come Giorgio Colli, Cristina Campo, Guido Ceronetti, Enzo Mandruzzato, Roberto Calasso, se ciò è stato possibile anche nella cultura italiana contemporanea.
Poi ci sono casi in cui il lavoro di uno specialista assume, per la competenza, profondità, lucidità e l’apertura mentale del singolo studioso, un respiro degno di autentico umanesimo. È il caso, fra altri, di Pierre Hadot, studioso francese che ha dedicato una gran parte della vita, ad indagare la filosofia antica sotto il profilo della saggezza pratica, mentre un filosofo del calibro di Heidegger o un interprete importante come Severino, si sono concentrati esclusivamente sull’aspetto teoretico del pensiero greco. Saggezza pratica significa qui, innanzitutto, stoicismo ed epicureismo.
Le due grandi scuole del pensiero filosofico nate con Zenone di Cizio ed Epicuro, non a caso subito dopo le campagne di Alessandro e la nascita del mondo ellenistico, quando i contatti tra cultura occidentale e cultura orientale furono ingenti e diretti. Di Hadot si segnala anche, fra l’altro, un’eccezionale edizione del “Manuale di Epitteto”, lo schiavo-filosofo, su cui ci siamo soffermati in un capitolo precedente di questa rubrica.
Per noi romani che, passeggiando per le vie del centro, abbiamo la fortuna di imbatterci in monumenti come la Colonna di Marco Aurelio nell’omonima piazza, o nella grande statua equestre, di cui è esposta nella piazza del Campidoglio la copia, mentre l’originale è conservato nei Musei Capitolini, è particolarmente interessante la monografia che Hadot ha dedicato ai “Pensieri” di Marco Aurelio, intitolata “La cittadella interiore” (Vita e Pensiero, 1996).
Marco Aurelio fu la straordinaria figura di imperatore-filosofo, grande rappresentante degli Antonini, che, nel II secolo d. C., volle caratterizzare la sua opera di governante illuminato, attraverso la cifra della filosofia e dello stoicismo, cosa insolita per un imperatore romano. Ma già Adriano, suo predecessore, aveva voluto impegnarsi nel senso del filo – ellenismo e del recupero pieno dell’umanesimo greco e Villa Adriana ne costituisce una testimonianza straordinaria.
Volendo ripensare, dunque, la nostra tradizione in senso laico, non – cristiano, non confessionale, semplicemente perché incapaci di credere al grande mito del Logos che si è fatto carne, in cui è possibile enucleare il cuore del cristianesimo, troveremo nei “Pensieri” di Marco Aurelio il Vangelo del non – credente, come già intuì Ernest Renan, dello scettico, di chi, anche in teologia, ha passioni plurali, di chi ‘crede’ nell’esercizio sobrio, ma fermo, della ragione.