L’insostenibile leggerezza dell’essere, Milan Kundera
Il Sabato Lib(e)ro di Livia Filippi
Il famoso Quartetto del romanzo di Kundera si trova a Praga, nell’ambiente artistico e intellettuale cecoslovacco, fra la Primavera e la successiva invasione da parte dell’Unione Sovietica.
Tomáš è un medico chirurgo scomunicato dalla professione. Innamorato della sua dolce Tereza, una fotografa, non riesce a rinunciare alle numerose amanti con le quali stabilisce rapporti senza complicazioni e pretese: prima tra tutte con Sabina, una pittrice e uno spirito libero, che ha una breve ma intensa storia con Franz e se ne innamora perdutamente.
Una contraddizione in termini: il rapporto amoroso è un fardello, mentre la relazione tra Tomáš e l’amante Sabina è tenue e inconsistente, quello con Tereza è greve, pur trattandosi di una relazione irrinunciabile. Leggerezza e pesantezza in fondo rappresentano un tutt’uno, una richiama l’altra per via della comune insostenibilità.
Tutti i personaggi è come se fossero legati e soli allo stesso tempo, come se si amassero ma senza conoscersi e senza capirsi, creandosi a vicenda un inferno, pur volendosi bene.
Lo scrittore Kundera, ceco naturalizzato francese, nel 1982 scrive l’opera che verrà pubblicata per la prima volta in Francia due anni dopo.
Ciò che di più vale in questo romanzo è l’introduzione. Egli ha una profonda coscienza, avvia il romanzo con la teoria dell’eterno ritorno dell’uguale: se eternamente va la ruota dell’essere, tutto nel mondo ritorna ad essere eternamente fedele a se stesso. Dunque tutto è cinicamente concesso. Inevitabile il richiamo al filosofo Nietzsche il quale ha una concezione al riguardo come un qualcosa di estremamente doloroso che condanna l’uomo ad un’assurda sofferenza, "È per questo che l'uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione". A questo pesante fardello della temporalità intesa come eterno ritorno, si contrappone il fatto che nonostante l’uomo faccia delle scelte per dare un senso alla propria vita, esse risultano irrilevanti, dunque leggere, poiché egli non arriverà mai a dare un senso assoluto alla vita.
Il linguaggio è polimorfo e perverso, trasformista e instabile, pronto ad assecondare le pulsioni dei quattro protagonisti, all’interno di capitoli spezzati in paragrafi lunghi, che risultano molto funzionali alla scorrevolezza.
Qualsiasi chiave di lettura di questo romanzo interagisce direttamente con la propria sfera emotiva, che arricchisce non di nuovi elementi ma di riscoperte; giacché il percorso offerto da Kundera non è un invito alla rassegnazione bensì alla ricerca della propria essenza, (probabilmente) con l’intento di libere e imprevedibili aperture verso i propri desideri che permettono di darsi al mondo esterno in maniera inedita.
Chi tende "verso l’alto" infatti deve aspettarsi prima o poi di essere colto dalla vertigine, nonché dalla paura di cadere, ma la vertigine prende anche su un belvedere dotato di una ringhiera, dunque essa non è paura ma desiderio di cadere, dal quale ci si difende per paura.
“Chi è pesante non può fare a meno di innamorarsi perdutamente di chi vola lievemente nell’aria, tra il fantastico e il possibile: mentre i leggeri sono respinti dai loro simili e trascinati dalla «com-passione» verso i corpi e le anime possedute dalla pesantezza”, commenta Pietro Citati.
Un ribaltamento della comune idea che “solo ciò che è necessario è pesante, solo ciò che pesa ha valore”, mentre insostenibilmente leggera prende alto il volo la farfalla dell’essere.