L’intervista ad Antonio Guidi sulla sessualità nel mondo dei disabili
Abbiamo parlato con il neuropsichiatra ed ex ministro Antonio Guidi di promozione della sessualità dei disabili
L’energia sessuale, fin dalla scoperta della libido freudiana, è la chiave principe per accedere al mondo delle emozioni umane. Psicologi e sessuologi sono concordi nell’affermare che quello sessuale sia un desiderio universale, legato all’essere vivi, non all’essere “normodotati”.
Il sessuologo Fabrizio Quattrini si occupa da anni della sessualità dei disabili e alle telecamere de “Le Iene” ha spiegato come la mancanza di soddisfazione sessuale scaturisca in malumore, aggressività, e che solo facilitando il più possibile la libera espressione erotica si possono evitare “esplosioni negative”. Il servizio di “Italia1” è datato 2013, ma sempre valido nel suo principio.
Il contatto e l’erotismo sono aspetti della vita e non solo del corpo, fondamentali anche per coloro che non possono neppure praticare l’autoerotismo. Spesso le famiglie, in segreto, ricorrono alle “escort” per dare sollievo alla frustrazione dei loro figli disabili, ma le “escort” possono davvero essere una soluzione?
Gli utenti disabili di sesso maschile, lamentano in genere che le escort offrano prestazioni prive di calore e che non siano formate per accogliere il corpo del disabile con le sue fragilità e insicurezze. E questo vale anche per le donne disabili e le figure a cui possono rivolgersi per avere uno scambio di contatto.
Ne abbiamo parlato con l’ex ministro della famiglia ed ex sottosegretario alla salute, Antonio Guidi, affetto da tetraparesi spastica.
“ Mi occupo di sessualità e disabilità almeno dagli anni ’70, da quei famosi convegni sull’handicap (veniva ancora chiamato così), in occasione del convegno mondiale sulla sessualità io e altri bloccammo la metropolitana per mettere in risalto questa negazione. Credo che per parlare di questo argomento che riguarda dei casi estremi di disabilità, bisogna intanto parlare della concezione del femminile e dell’erotismo femminile in Italia, che viene puntualmente negato o rimosso, cosa che accade già nella donna non disabile.
Dunque occorre parlare di questa figura all’interno di una diversa cultura della disabilità ma anche dell’uomo e della donna. Ancora oggi un uomo che ha una vita sessuale intensa è apprezzato, una donna viene invece accusata. Se per un uomo gravemente disabile sarebbe comprensibile rivolgersi ad un operatore per l’affettività e la sessualità, in Italia sarebbe difficile portare una donna da un uomo che le da delle attenzioni fisiche…questo argomento avulso da questi orizzonti complessi della nostra cultura maschilista non viene compreso. La nostra cultura di fondo penalizza la donna.”
Ma anche all’interno della parola disabilità sono contenute le più disparate condizioni o patologie...
“Disabilità è un termine che va dalla sindrome di Down alla spasticità e questo è un arco immenso di disagi, i quali sono immersi in un contesto di barriere architettoniche. Questa figura proposta ha una funzione necessaria, ma ci sono così tante altre esigenze per i disabili che non sono assicurate, come le priorità di accesso e movimento minimo ai disabili. La disabilità è la lente di ingrandimento dei pregi e dei difetti di una società, che ci mostra le nostre contraddizioni e mancanze verso il mondo femminile.
Credo sia ipocrita occuparsi di casi estremi per pulirsi la coscienza, mentre si fa silenzio su tutta una serie di servizi che mancano ai disabili. L’operatore alla sessualità in una città che non garantisce chance di uscire sul marciapiede, resta una proposta valida ma non la soluzione. Al disabile serve socializzazione e integrazione.
La negazione della sessualità in genere è data in Italia da oggettive difficoltà come la scelta di non parlare di educazione sessuale a scuola, l’educazione religiosa, i pregiudizi e gli stereotipi che coinvolgono entrambi i sessi. La libertà sessuale oggi è quella genitale e non erotica. In Italia non si può dire che una mamma prova un piacere erotico quando allatta il suo bambino, senza essere chiamati depravati. In questo contesto come si può capire l’operatore alla sessualità e all’affettività!”
La nostra presunta libertà sessuale è una libertà ‘volgare’, non affettiva; a proposito di questo paradosso ci parla poi dei paradossi della disabilità e ci riporta al caso di Rosanna Benzi la ‘donna nel polmone d’argento’, straordinaria scrittrice che per 29 anni visse immobilizzata in un respiratore artificiale.
“Diceva che il suo più grande desiderio era quello di grattarsi il naso e che si sentiva la donna più desiderata al mondo, perché il suo corpo era segreto. La forza della disabilità arriva al paradosso…era una donna meravigliosa che nessuno ha poi fatto senatrice a vita come promesso.”
Insomma bisogna che la cultura e la società italiana siano educate alla sensibilità e alla tenerezza per comprendere cosa rappresentino gli operatori di cui stiamo parlando. E questo sia per la tutela dei disabili nell’opinione pubblica, che per l’intera società.
“Queste figure indubbiamente servono, ma inserite in una cultura che non sia ‘radical chic’, sentimentale nei casi estremi ma ipocrita su tutti gli altri numerosissimi casi di disabilità. Oggi il disabile si autocensura, i disabili si riuniscono solo per chiedere la morte e l’eutanasia, e si si sono autocensurati per via della società. I disabili non si aggregano più perché oggi non c’è speranza di cambiare.
Questi professionisti non devono essere un abili per ciò che non c’è, ma devo essere preparati parallelamente a ciò che di fondamentale manca nella vita di un disabile. La società di oggi è più complessa e meno dinamica anche solo di pochi decenni fa. La nostra cultura è così complicata e crudele, anche se non cattiva…che queste complessità vanno tenute sempre presenti, altrimenti diritti e figure di sostegno restano vane. ‘L’inferno è lastricato di buone intenzioni’, scrisse Goethe nel Faust, e un operatore di questo tipo non segnerebbe un progresso ma solo scandalo”.
Ma chi sono gli operatori OEAS? Cosa fanno concretamente? benefici e le riserve di una professione che avrebbe un compito sociale fondamentale e una missione umana preziosa
Anna Senatore, operatrice olistica è una delle 16 persone iscritte al primo corso OEAS (operatore all’emotività, all’affettività e alla sessualità), e lei ha già lavorato più volte Matteo, 39 anni, tetraplegico. I loro incontri sono fatti di sfioramenti, carezze, contatto visivo intenso e abbracci ma senza mai arrivare a nessun tipo di rapporto completo. Infatti l’operatore può aiutare l’utente nell’autoerotismo o aiutarlo a capire come può masturbarsi, ma il protocollo LoveGiver vieta rapporti completi così come quelli orali.
Le cautele in questo contesto devono riguardare sia la formazione che la supervisione dell’operatore. La sua formazione deve effettuare la verifica di idoneità della persona, che deve avere una sensibilità particolare, ma anche conoscenze anatomiche, nozioni di psicologia, capacità di sapersi rapportare al corpo del disabile e alla sua autostima. Si tratta quindi di doti sia innate, sia acquisite durante un percorso.
Occorre avere molta vigilanza sulla situazione in cui l’operatore lavora, e sull’utente stesso perché l’utente che riceve queste attenzioni potrebbe iniziare a provare sentimenti verso l’operatore, quindi potrebbe provare il desiderio, pur sapendo che è irrazionale, di avere una relazione esclusiva con l’operatore. L’utente deve poi essere tutelato da chi possa avere in qualche modo delle fantasie non proprio appropriate verso l’utente, che riceve ricordiamolo un servizio umano, ma non deve soddisfare l’operatore, che al massimo deve ricevere esclusivamente l’appagamento della solidarietà umana.
Inoltre probabilmente sarebbe necessaria la supervisione di uno psicologo perché la persona che offre il servizio, per quanto professionale e consapevole che la sua funzione sia lo svolgimento di un lavoro sociale, potrebbe sentirsi in qualche modo violata nella sua corporeità per via di una professione che richiede un profondissimo livello di confidenza e intimità. La razionalità non può sempre controllare tutte le dimensioni della nostra interiorità.
Insomma la tutela dovrebbe essere garantita sia all’utente che all’operatore, e dalla formazione fino alla relazione con l’utente. Solo così la qualità della vita di una persona con grave disabilità può essere valorizzata in modo potentissimo da queste figura.