L’intervista all’autrice Melanie F. sul suo ultimo romanzo “L’angelo”
La storia d’amore oltre i confini della materia tra una donna allo sbando e un angelo che la guida
L’ultimo libro di Melanie F. “L’angelo” Edizioni Cairo, presentato ieri 10 dicembre alla splendida Feltrinelli Red dalla conduttrice Alda D’Eusanio, è una storia di carne e spirito, sensualità e ascetismo, passione del corpo e contemplazione dell’anima, un romanzo in cui gli opposti non solo si attraggono per legge di natura, ma si fondono. Un romanzo profondo che narra di una donna, Dixi, e di un angelo, una sorta di rappresentazione del divino che segue lei e la crescita umana nel cosmo. Un romanzo che l’autrice definisce esoterico ma che al tempo stesso è vibrante, godibile, vivido. La storia d’amore tra un angelo e una splendida donna, in qualche modo tra Dio e la sua sposa; l’umanità.
Il suo romanzo ha come protagonista una ragazza e un angelo, quindi un essere che proviene da una dimensione spirituale, in ebraico “messaggero” e infatti l’angelo del suo romanzo porta un annuncio di elevazione e di crescita interiore?
“Il racconto inizia nel Père Lachaise, il cimitero monumentale di Parigi, dove Dixi, la protagonista femminile umana, va a porre dei fiori sulla tomba di Jim Morrison perché è il trait d’union tra lei e suo padre, una figura importante perchè ha un rapporto difficile con il padre distante. Lì l’angelo che in realtà è lo spirito di un defunto, si innamora di lei. La segue ovunque, le parla continuamente, le rivela i segreti della vita e dell’esistenza, però lei non lo sente. Quindi è come se lo spirito parlasse tra sé e sé. Lei sente la presenza dello spirito quando la sua materialità si eleva uscendo dalla dimensione fisica della carne, quando ad un livello energetico vibra di più verso l’amore.
E come si fa ad elevarsi? Ci sono due vie, il dolore e la bellezza. Il dolore brucia ciò che c ‘è di pesante nella nostra anima e così ci consente di elevarci, e la bellezza perché quando ti stupisci per un quadro, un tramonto, il sorriso di un bambino sei più leggera. Ti avvicinano ad una illuminazione, un’apertura del cuore. Dixi le percorre entrambe perché si perde nel sesso sfrenato, nelle droghe, nelle cattive abitudini e compagnie per non soffermarsi sul suo dolore, ma poi è costretta anche a concentrarsi sul suo dolore, percorrendo perciò anche questa via”.
Una sorta di combustione spirituale come nell’antico processo alchemico, ma anche le vie dei mistici i quali contemplavano la bellezza del creato, tuttavia si servivano anche delle rinunce e della sofferenza come mezzo del distacco. Oggi spesso in questo discorso si scambia il fine con il mezzo; il dolore per il mistico è un mezzo e non lo scopo.
“Io credo che si potrebbe anche evitare di soffrire e percorrere soltanto la via della bellezza, ma d’altro canto è pur vero che ciascuno di noi ha una ferita e porta in sé un trauma. Dixi è stata tradita ma non da un compagno, dalle figure a lei più care nell’infanzia. Nel mio romanzo il tradimento è qualcosa di più profondo di quello tra coniugi. Dixi racconta la nostra ferita, quella che dobbiamo osservare per arrivare alla liberazione. ”.
La sofferenza è l’indicazione di una direzione da prendere, non da fuggire, di una responsabilità da assumersi e non di una “lamentela” o colpa da attribuire all’esterno.
“Sì, occorre abbracciare la sofferenza perché ti dice un sacco di cose, occorre farla diventare un’amica, non scappare con antidepressivi o esperienze adrenaliche, ma restare vigili su di essa. La contemplazione della tua stessa sofferenza come se fossi uno spettatore esterno ti permette di vedere dove si annida nel corpo, identificandola prima che diventi magari una malattia psicofisica. Lo spirito dice che sa distinguere le ombre nell’aura e sa che lì si svilupperà una malattia. Anche la malattia è in qualche modo un dono, ma purtroppo il modo di pensare dei medici di oggi non accoglie questo tipo di visione”.
La protagonista è una modella quindi ha puntato sul suo aspetto esteriore, investe sulla sua apparenza materiale, mentre l’angelo la richiama alla sua interiorità, questo contrasto filosofico ma anche letterario e diegetico è molto interessante.
“Dixi ama esibire il proprio corpo, ma è combattuta perché ha anche subito una violenza quando era piccola, e questa ferita profonda ha influenzato la sua crescita. Non è il suo unico choc, perché la catena del dolore che parte dai suoi avi e ha investito sua madre, la ha condizionata. Tutti nasciamo ereditando dei traumi che si protraggono nella nostra discendenza, sono catene che ci appesantiscono finché non le interrompiamo. Il perdono viene interpretato erroneamente come un atto di di superiorità e di magnanimità superba, in realtà è il superamento di uno stato di vittimismo, dove sappiamo che l’altro non può farci nulla perché è il nostro irrisolto a renderci vulnerabili agli altri e a ciò che ci accade. Gli altri sono una ‘scusa’ per guardarci dentro. Gli amanti che calpestano Dixi come Richard, uno sbruffone che la usa, lo riescono a fare perché lei vuole essere sommersa da relazioni dolorose, per non vedere la sua ferita. Nei momenti in cui lei però si sofferma a pensare, entra nelle chiese, piange, si scioglie alla meraviglia, lo spirito può entrare in connessione con lei. Finché tra passaggi tra materia e spirito lui si rivela, mostrando che anche tra aldilà e mondo terreno non c’è una reale differenza”.
Dunque non c’è una continuità tra corpo e anima, come tra mondo terreno e mondo dell’aldilà. Oggi queste allusioni vengono dalla fisica quantistica, ieri ce lo insegnavano il Vangelo e le saggezze orientali. Anche ne “L’occidentale” e “La donna perfetta” ci sono protagoniste femminili che cercano di coniugare la loro identità autentica con l’identità sociale, ciò che loro sentono essere il loro percorso individuale con ciò che la società chiede loro. Donne in equilibrio tra autostima intima e dimensione pubblica, tra mondo occidentale e arabo.
“La repressione della femminilità è una violenza che tutte donne provano, nonostante la nostra libertà di indossare minigonne, ma stando a Dubai ho sperimentato la schiavitù mentale di una città che sembra all’avanguardia ma teme le donne.
Credo inoltre che i popoli abbiano una storia di crescita come le persone, ci sono popoli ‘bambini’ che obbediscono perché temono di essere puniti, e popoli ‘adolescenti’ abituati a provocare come noi occidentali, ma siamo tutti in cammino. Anche i popoli hanno un’anima collettiva. I nostri maestri sono Gesù, il Buddha, i compassionevoli che vengono qui a mostrarci delle vie di verità”.
Il mondo allora è una sorta di scuola in cui fare esperienza per crescere, e portare il nostro contributo di realizzazione nell’universo. Ad un certo punto per lo scrittore arriva sempre questa domanda… quanto c’è di autobiografico in questo romanzo?
“Io non sono mai stata violentata, però lo scrittore è come un attore, che invece di usare il corpo a teatro, lo presta alla scrittura. Io sento fino in fondo le sensazioni e le emozioni che ho raccontato. Mi sono fatta interprete di una storia che mi è sembrato mi venisse raccontata da uno spirito. A volte non capivo ciò che mi veniva l’impulso di scrivere, poi lo comprendevo, come se venisse rivelato. In fondo non mi pare ci sia una vera differenza tra essere e sembrare.
Io trovo tutto meraviglioso”.