L’Umanesimo, una scialuppa di salvezza in un mare in tempesta
Nelle riflessioni che a questa seguiranno, proveremo a riflettere su alcuni temi della cultura europea, facendoli incontrare con i temi dell’attualità
Nella nostra epoca i saperi umanistici sono stati relegati in un angolo, marginalizzati come in nessun periodo precedente della storia europea. Nell’epoca della globalizzazione, di internet, del finanz-capitalismo, della rapida e fulminea circolazione di uomini e capitali, la filosofia, la letteratura, la storia, la grande arte hanno uno spazio sempre più ridotto nelle vite di quasi tutti.
Le persone leggono sempre meno. Non solo, ma la rapidità delle comunicazioni e, più in generale, la fretta che accompagnano le vite di ognuno, rendono sempre più difficile riflettere, contattare quella zona di calma necessaria alla riflessione razionale, alla contemplazione. Non solo, ma le difficoltà che i giovani con una formazione umanistica incontrano nella ricerca di un lavoro, non fanno che dimostrare come filosofia, arte, storia, letteratura, antropologia, archeologia siano state relegate nel ghetto.
La prevalenza dei saperi scientifici e tecnici è diventata schiacciante e visibile a tutti e gli appelli affinché i giovani leggano sono scaduti a mera retorica, ossia proprio ciò che i giovani, non a torto, disprezzano. Si aggiunga che televisione ed internet inducono ad una ricezione passiva, ben altra cosa da quello sforzo attivo necessario alla concentrazione e alla lettura, da quell’impegno che si richiede per intendere un testo di Schopenhauer o una poesia di Goethe.
Eppure, da qualche parte, la maggior parte delle persone sa quanto tutto questo sia importante. La riflessione su di un libro, i versi di un poema, una massima filosofica, una statua, un quadro, ma anche un film, uno spettacolo teatrale o un concerto, possono offrirci uno squarcio illuminante sul presente, su una situazione difficile della nostra vita, sulle ragioni di un dolore o di un’emozione.
Che i termini fondamentali della vita di ciascuno siano sempre gli stessi – la nascita, la morte, la famiglia, l’eros, il dolore, l’amicizia, la guerra, la pace, i viaggi, le migrazioni, la sopravvivenza – è ciò che rende Eraclito e Cicerone più attuali del Grande Fratello o dell’Isola dei Famosi.
Il vantaggio della cultura umanistica su quella scientifica sta nella sua capacità di vedere l’intero, la totalità, mentre la scienza, con la sua incredibile e minuziosa precisione, con la sua prodigiosa attitudine a trasformare la materia, è costretta a muoversi nell’incredibilmente grande o nell’incredibilmente piccolo, ossia dove non abita l’uomo. Ecco perché Heidegger scrisse la famosa massima “la scienza non pensa”.
Nelle riflessioni che a questa seguiranno, proveremo, dunque, a riflettere su alcuni temi della cultura europea, facendoli incontrare con i temi dell’attualità: la memoria della Shoah, il multiculturalismo, un classico della filosofia, ad esempio. L’intenzione della cultura umanistica, oggi, deve essere quella di sottrarsi alla stretta asfissiante del nichilismo, che investe, con i suoi scandali sessuali e i suoi comportamenti devianti, la stessa Chiesa cattolica, per non parlare di altre sette religiose come, ad esempio, “Scientology”.
Ma le cui conseguenze si riverberano in ogni aspetto della nostra vita, nella decadenza della politica, nelle relazioni personali, affettive e famigliari, nel modo in cui impostiamo il nostro rapporto con il lavoro e con i suoi aspetti produttivi, nell’ansia di consumo e di denaro che ci soffoca, nello smarrimento esistenziale delle generazioni più giovani. Ecco “perché leggere i classici”, per usare un’espressione di Italo Calvino.
Ciò che la filosofia e la letteratura, la storia e l’arte ci forniscono è, da una parte, la possibilità di riflettere e capire il presente attraverso la mediazione del passato, dall’altra di dare a noi stessi un’educazione sentimentale che, oggi, drammaticamente manca. Era così ancora cinquanta anni fa, quando i giovani del ’68, pur con i loro limiti e le loro ubriacature ideologiche, dormivano con “L’uomo a una dimensione” (1964) di Marcuse sotto il cuscino.
Fenomeni recenti come il razzismo e il rapporto con l’altro, con l’immigrato che chiede l’elemosina sotto casa nostra, come la violenza delle baby-gang o le stragi che continuano a ripetersi ciclicamente negli Stati Uniti, non fanno che dimostrare la perdita di senso e di centro che caratterizzano la nostra epoca. Per non parlare di prospettive terrificanti, come la minaccia nucleare o le catastrofi ecologiche, che tornano a riproporsi.
Analogo discorso è possibile fare per la crisi della politica italiana, mai tanto drammatica come in questo momento, o per l’Europa, straordinaria possibilità che aspetta ancora di essere realizzata e che rischia, invece, di essere tragicamente sprecata.
Il destino è nelle mani dell’uomo, anche oggi, quando macchine estremamente raffinate, si prendono spazi sempre più ampi nelle nostre vite. Ma ciò è valido, solo se avremo occhi e mente vigili, ossia capaci di ascoltare il respiro dei secoli che abbiamo alle nostre spalle. Ciascuno, poi, scelga i classici che sente più suoi: Eraclito e Parmenide, il “Libro di Giobbe” o le “Lettere” di San Paolo, i “Pensieri” di Pascal, Voltaire o i “Canti” di Leopardi. Poiché non c’è futuro, senza memoria e consapevolezza del passato.