La banalità della campagna elettorale: dove sono i grandi temi?
Altrove, le Europee si giocano su economia, politica estera, follie green: da noi si agita lo spauracchio del fascismo, tra presunta intoccabilità del Quirinale, pseudo-martiri e cultura “sinistra” (cum grano Salis)
Se si dovesse dare una definizione dell’attuale campagna elettorale, sarebbe “tanto fumo e niente arrosto”. Perlomeno in Italia, dove partiti e media mainstream si sono concentrati su tutta una serie di “armi di distrazione di massa”. Trascurando di conseguenza i grandi temi su cui invece si giocheranno le ormai imminenti Europee 2024, fissate da noi all’8 e 9 giugno prossimi.
Verso le Europee 2024
A pochissimi giorni dall’apertura delle urne per il rinnovo dell’Europarlamento, si può già affermare che nel Belpaese il grande sconfitto è il dibattito pubblico. Monopolizzato da istanze che piacciono alla gente che piace, ma interessano poco o nulla al Paese reale.
All’ombra del Tricolore, infatti, da mesi si discetta solo di un fantomatico fascismo di ritorno, agitando uno spauracchio declinato oltretutto in varie sfaccettature. La più recente riguarda il cosiddetto attacco di Claudio Borghi a Sergio Mattarella, campione delle ovvietà a cui il senatore leghista ha risposto con un’altra ovvietà. E giova ricordare, come ha fatto il conduttore de La Zanzara Giuseppe Cruciani, che l’inquilino del Quirinale non è certo intoccabile, anzi è criticabile come chiunque altro.
Molto più gettonato, però, è stato lo pseudo-bavaglio denunciato da autoproclamati “martiri” del progressismo che da mille palcoscenici (stra)parlavano di quanto non potessero parlare. Col nadir rappresentato da Roberto Saviano, unico presunto censurato dal servizio pubblico con un programma in RAI.
Ma la cultura, soprattutto se finalizzata a una candidatura (agognata o reale), si esprime per lo più in forma libraria, e in questo senso in forma bipartisan. Così, in principio erano stati il Generalissimo Roberto Vannacci e l’accoppiata nonna–papà della povera Giulia Cecchettin. Ora forse toccherà al neo-rientrato Chico Forti, sicuramente a Ilaria Salis, maestrina rossa senza penna che ha già annunciato le sue p(r)igioni ungheresi. E che per parte sua aspira a un seggio a Strasburgo sotto le insegne di Alleanza Verdi e Sinistra, a conferma del motto latino cum grano Salis.
La banalità della campagna elettorale
Intanto, all’estero ci si confronta sull’economia, qui circoscritta soprattutto al PNRR e al suo possibile restyling. Sulla politica estera, che spesso fa divergere gli Italiani dalle scelte chigiane, con l’Ucraina come caso estremo in riferimento ai Governi sia Meloni che Draghi. E, soprattutto, sulle follie green, contestate però solo per i deleteri effetti, quando andrebbe ribaltata l’impostazione antiscientifica che spaccia l’uomo come responsabile del climate change.
Poi, però, La Repubblica lancia l’allarme sull’astensionismo che incombe sulle elezioni, e non si può che essere sorpresi di cotanta sorpresa. E non solo perché è il voto che maggiormente disattende le indicazioni dell’elettorato – vedasi 2019, quando il Carroccio stravinse ma tutti i posti d’onore andarono al Pd. Che altro ci si potrebbe aspettare, infatti, in seguito a quella che, parafrasando Hannah Arendt, viene facile chiamare “la banalità della campagna elettorale”?