La Declaratio 10 anni dopo: l’eredità di Benedetto XVI
La reale interpretazione del testo ratzingeriano è ancora oggetto di dibattito: perché molto probabilmente non era un’attestazione di dimissioni, con tutte le conseguenze del caso
Sono passati esattamente dieci anni dal giorno in cui il mondo veniva sconvolto dall’ormai celeberrima Declaratio di Papa Benedetto XVI. Il testo con cui Joseph Ratzinger annunciava l’intenzione di rinunciare al ministero petrino. Che oggi ne costituisce la principale eredità, il cui impatto sulla vita della Chiesa (e non solo) potrebbe essere ben più profondo di quanto sembri.
La Declaratio 10 anni dopo
L’11 febbraio 2013 è una di quelle date destinate a restare scolpite nei tornanti della Storia. Quel mattino, infatti, Benedetto XVI comunicava urbi et orbi la più grave e misteriosa delle sue decisioni.
«Bene conscius ponderis huius actus plena libertate declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commisso renuntiare». Così recita l’originale latino della Declaratio, da allora interpretata pressoché unanimemente come certificazione di dimissioni. Eppure oggi, 11 febbraio 2023, a una decade di distanza ancora se ne discutono significato e implicazioni.
Nel frattempo, tutto è gattopardescamente cambiato affinché tutto rimanesse com’era. Papa Ratzinger è tornato alla Casa del Padre alla vigilia dello scorso Capodanno: ma le sue parole sono più vive che mai, e non è possibile non farci i conti.
Si dà infatti il caso che, come ben si evince dal testo sopracitato, Sua Santità abbia rinunciato al ministerium di Vescovo di Roma. Termine che, come abbiamo più volte spiegato, indica l’esercizio pratico del potere papale. Tuttavia, secondo il Canone 332 §2 del Codice di Diritto Canonico vaticano, un Pontefice abdicatario deve abbandonare il munus, il titolo divino di Vicario di Cristo. Cosa che Papa Benedetto non ha mai fatto, limitandosi a lasciare l’incarico come un professore che, andando in pensione, smette di fare il professore, non di essere tale.
Il pericolo e la speranza
Questo dev’essere il punto fermo e il punto di partenza di ogni dibattito. Perché si può questionare sull’esistenza del Codice Ratzinger individuato dal collaboratore di Libero Andrea Cionci, o sull’eventualità che l’inefficacia del documento dipenda da un “errore sostanziale”. Ma non si può prescindere dal fatto che la Declaratio, letta come ritiro dall’ufficio papale, risulti canonicamente e giuridicamente nulla, laddove appare perfettamente coerente con un’attestazione di (Santa) Sede impedita. Come hanno efficacemente dimostrato autorevoli giuristi quali l’avvocatessa colombiana Estefanía Acosta e l’ordinario di Diritto presso l’Università di Siviglia Antonio Sánchez Sáez.
Va da sé che tutto questo avrebbe delle conseguenze dirompenti. A partire dall’invalidità del Conclave del 2013, e dalla necessità – anzi, l’urgenza – di convocarne uno legittimo ora che la Sede Apostolica è realmente vacante. Un consesso formato esclusivamente da Cardinali nominati come minimo un decennio fa, pena il rischio di avere d’ora in avanti una linea successoria antipapale.
Per chi crede, in ogni caso, c’è sempre la speranza rappresentata dalla promessa di Gesù Cristo. Portae inferi non praevalebunt, “le porte degli inferi non prevarranno” contro la Chiesa (Mt 16, 18). Non resta che armarsi di santa (è il caso di dirlo) pazienza.