La denuncia dei medici di Roma: “7 giovani su 10 bevono alcol”. Ma qual è il problema?
Il rapporto tra i giovani e l’alcol, così come quello con le droghe leggere e altre sostanze, non è mai una questione solo medica o statistica

Vino - Fonte www.pexels.com - Romait.it
A volte i dati parlano chiaro. Altre volte, chiedono di essere ascoltati con più attenzione. Quando il presidente dell’Ordine dei Medici di Roma, Antonio Magi, dice che “sette giovani su dieci in Italia fanno uso di alcol”, il primo istinto può essere quello della condanna o dell’allarme. Ma dietro quel numero ci sono volti, contesti, motivazioni, fragilità, e in alcuni casi anche riti che fanno parte della crescita. E se vogliamo davvero comprendere, dobbiamo abbandonare le scorciatoie del giudizio e metterci in ascolto.
Un’intera generazione alla ricerca di equilibrio: il consumo come linguaggio
Il rapporto tra i giovani e l’alcol, così come quello con le droghe leggere e altre sostanze, non è mai una questione solo medica o statistica. È, prima di tutto, una questione culturale. Bere una birra con gli amici, provare uno spinello in un festival o assumere sostanze sintetiche in un rave: sono gesti che raccontano il bisogno di appartenere, di cercare una soglia, di definire un’identità in un mondo che cambia in fretta e spesso non offre spazi sicuri per l’esplorazione di sé.
Non si tratta di sminuire i rischi. Ma di capire da dove nasce questo bisogno. “Ancora oggi”, osserva Alfredo Cuffari, medico e componente del gruppo di lavoro dell’Ordine dei Medici di Roma, “c’è poca consapevolezza del fatto che non esiste un consumo sicuro”. Eppure, il consumo non è sempre problematico. Lo diventa quando è l’unico modo per sopportare qualcosa che fa male o per sentirsi accettati.
Prevenzione senza stigma
Proprio per questo, ogni azione di prevenzione ha senso solo se parte dal riconoscimento del contesto. L’Ordine dei Medici di Roma sta lavorando con un approccio ampio, che coinvolge scuole, istituzioni sanitarie e famiglie, con l’obiettivo di costruire consapevolezza senza colpevolizzare. È un passo importante, perché per troppo tempo si è parlato ai giovani su di loro, e raramente con loro.
“Il nostro compito”, ha spiegato Magi in occasione dell’Alcohol Prevention Day all’Istituto Superiore di Sanità, “è intercettare i comportamenti prima che diventino dannosi, lavorando anche sull’educazione agli stili di vita”. Un tema che riguarda tutti, non solo chi consuma. Perché un giovane informato non è necessariamente un giovane che dice sempre no. Ma è un giovane che sa scegliere. E che sa anche chiedere aiuto, quando serve.
La scuola, il gruppo, la famiglia
Non è un caso che molte iniziative di prevenzione stiano cercando spazio nelle scuole. Lì dove si formano gli immaginari, le paure, i miti. I dati raccontano che il primo contatto con l’alcol avviene spesso tra i 13 e i 15 anni. Ed è lì che serve esserci, con linguaggi nuovi, non paternalistici. Le vecchie campagne del “non farlo” non bastano più. Serve raccontare, dialogare, restare in ascolto.
Il ruolo della famiglia è altrettanto centrale, ma oggi spesso si trova spiazzata. I genitori che oggi crescono adolescenti sono stati, vent’anni fa, i ragazzi delle prime “happy hour”. Hanno vissuto una liberalizzazione della cultura dell’alcol che ha normalizzato il consumo. E ora, da adulti, si trovano a confrontarsi con l’altra faccia della medaglia.
Lavorare con chi lavora con i giovani
Proprio per questo l’Ordine ha deciso di coinvolgere in modo più diretto anche i medici di base, i pediatri, gli psicologi, i consultori. Figure che intercettano prima di tutti i segnali deboli, quei piccoli cambiamenti che spesso anticipano una caduta. Un nuovo questionario destinato agli iscritti all’Ordine — che aggiorna un’indagine già avviata dieci anni fa — servirà a fotografare l’attuale livello di consapevolezza e preparazione del personale sanitario. L’obiettivo è chiaro: offrire strumenti più efficaci, mirati, aggiornati.
La collaborazione con la Presidenza del Consiglio, con l’ISS, con il Ministero della Salute dimostra che c’è una volontà politica e tecnica di affrontare il tema con serietà, senza demonizzazioni, ma anche senza edulcorare. Perché se è vero che la stragrande maggioranza dei giovani fa uso occasionale e non problematico di alcol, è altrettanto vero che alcune situazioni sfuggono al controllo. E non sempre arrivano in tempo al pronto soccorso o allo psicologo.
Un cambio di passo possibile
Guardare in faccia il fenomeno, senza moralismi, è il primo passo per un cambiamento reale. Lo scopo non è vietare, ma costruire alternative. Luoghi di ascolto, modelli di relazione, occasioni di espressione emotiva e sociale che non richiedano la mediazione di una sostanza. Per molti giovani, l’alcol o una canna non sono solo uno sballo. Sono una pausa da una pressione che non sanno nominare. O una soglia per sentirsi meno invisibili.
Riconoscere questa complessità è forse il gesto più utile che possiamo fare, come adulti, come istituzioni, come comunità. Senza scorciatoie, ma con attenzione. Perché educare non vuol dire imporre, ma restare vicini mentre l’altro cerca la sua strada.