La dottoressa: “Pazienti Covid mi accusano di complicità con una dittatura”
La testimonianza piena di dispiacere, rabbia e senso d’impotenza di un’operatrice sanitaria nei reparti Covid
Si discute sull’opportunità o meno di fornire quotidianamente il bollettino dei numeri del virus. Forse perché a due anni dall’inizio della pandemia, ci troviamo con un numero di morti e di posti letto in terapia intensiva, che sconcerta ognuno di noi.
Numeri che destabilizzano qualsiasi forma di ragionamento o valutazione su ciò che si è fatto o si poteva fare. Numeri che fanno paura e che ancora una volta dimostrano quanto questo virus sia aggressivo nei confronti dell’essere umano, ma anche quanto sia capace di mettere a dura prova l’intero impianto organizzativo delle società di tutto il mondo.
La questione dei bollettini sanitari
Proprio la lettura e l’analisi dei bollettini quotidianamente pubblicati dall’ufficio ISS, ci dimostrano dal punto di vista scientifico, che l’unico avamposto frapponibile tra il virus e la libertà di poter continuare a vivere è solo ed esclusivamente nell’arma del vaccino. Ma pur essendo ribadito quotidianamente e ripetuto in varie forme comunicative, sembra non attecchire su una percentuale di popolazione ancora troppo alta. Circa sei milioni di non vaccinati solo in Italia.
Dal punto di vista comunicativo si sono sicuramente commessi degli errori, ma dal punto di vista psicologico è interessante interrogarci se il tentativo di convincimento debba avvenire attraverso la concettualizzazione del significato statistico, attraverso la matematica dei dati o attraverso l’esperienza emozionale che essi restituiscono.
Perché a dare prova del fallimentare tentativo di convincimento e del grave loop mentale di molti non vaccinati, vi è l’esperienza diretta di un Tecnico di Radiologia che vive quotidianamente i luoghi della terapia intensiva e dei reparti covid.
E attraverso una lettera aperta ci testimonia il paradossale e perseverante modello di visione di alcuni ostinati No vax che sembrano non accorgersi di quanto disperate siano le loro condizioni.
La lettera aperta della dottoressa in Radiologia
“Nel momento in cui mi vesto di quella tuta…lo faccio per proteggermi, per lasciare fuori il virus, ma dentro porto oltre alle sensazioni di caldo e disagio, sentimenti contrastanti, caratterizzati a tratti da rabbia; perché sicuramente il mio primo pensiero è che tutto ciò per molti poteva essere evitato.
Segue poi in me un profondo sconforto, la sensazione di impotenza.
C’è apprensione, c’è preoccupazione perché non so mai cosa porterò fuori da questo posto.
Qui dentro, ci sono solo danni, danni interni che solo parzialmente sono visibili dall’occhio umano.
Li vedo io attraverso le apparecchiature ed esami che palesano un’aggressività violenta e distruttiva di una malattia che restituisce all’esterno volti e corpi sfigurati, evocativi di una drammatica “Passio Christi”.
E intanto fa sempre più caldo in questa tuta, e intanto il mondo fuori sembra meno spiegabile.
Ecco che arriva allora la sensazione di dispiacere.
Solo fino a pochi mesi fa a darci coraggio e supporto vi era la schiera di gente le strade con gli striscioni e i cartoni di pizze con dentro tutto il sostegno di una nazione.
Non mi sono mai vestita da “eroe”, questo era ed è il mio lavoro, l’ho fatto e continuo a farlo con la stessa passione, ma mai mi sarei immaginata d’essere accusata di far parte di un “esercito” al servizio di un Sistema Sanitario Nazionale “dittatoriale”.
Covid, quei pazienti che accusano i medici di collaborare con una dittatura
Tutto questo contribuisce a rendere questa tuta ancora più pesante; piano piano sempre più asettica e difficile da indossare”, ecco dunque quale unica risultanza si detrae da quel circuito mediatico di misinformazione e di illusoria conoscenza e competenza, che offendono e sviliscono coloro che giorno dopo giorno di competenze e professionalità ne offrono agli altri.
Le terapie intensive, allora si riempiono di tantissimi pazienti che non credono nel lavoro che facciamo, rinnegando non solo la profilassi vaccinale, ma addirittura le cure necessarie per salvargli la vita.
Questa tuta si riempie di stanchezza, una stanchezza data dai turni massacranti dovuti alla carenza del personale, una stanchezza dovuta alla mancata percezione di un epilogo, una stanchezza che non può trovare riposo perché anche nel sonno certe emozioni continuano a bussare alla porta.
Oggi entrerò ancora lì dentro, entrerò di nuovo e so già che dovrò essere pronta a non trovare qualcuno dei pazienti di ieri, e la cosa più difficile sarà chiedere ai colleghi: “come mai?”
Teresa Marasco TRSM laureata in scienze delle Professioni Sanitarie Tecniche diagnostiche, Psicologia Cognitiva e Neuroscienze e Management Sanitario. Azienda Ospedaliera Universitaria “Mater Domini” di Catanzaro