La fatica del gioco: infanzia e giovinezza tra passato e presente
Paulo vestito da Arlecchino è un dipinto a olio su tela (130×97,5 cm) realizzato nel 1924 dal pittore spagnolo Pablo Picasso
Tra le fortune non trascurabili che possono verificarsi nella vita di ciascuno di noi, c’è quella di avere avuto un’infanzia felice. Non si tratta di un’esperienza scontata. L’affetto e l’amore di nonni e genitori, di cugini o di fratelli, per chi li ha, un pò di serenità economica, delle esperienze formative adeguate, tra i viaggi e la scuola, possono rendere la vita fino al compimento della maggiore età, degna di essere vissuta e ricordata.
L’insidia del benessere
Senza voler fare della retorica internazionalista o terzomondista, o per forza solidale, che in ogni caso non guasta, anche nascere nella parte fortunata del mondo, ha la sua parte. Chi nasce in una periferia del Pakistan o del Niger, ad esempio, non avrà accesso alle stesse possibilità del bambino nato in un quartiere residenziale di Berlino o di Stoccolma, con il padre amministratore delegato e la madre chirurgo.
Analogamente, non essere funestati da malattie terribili nella prima infanzia, conferisce alla nostra esperienza il ricordo di una serenità intatta, che non è un dono scontato. Il problema, forse, può risiedere in ciò.
Ossia, cresciute a dismisura le opportunità di benessere, non siamo più abituati a confrontarci con le asprezze che la nostra esistenza riserva alla condizione adulta. La dura formazione dei Greci (degli Spartani, in modo particolare) e dei Romani serviva, appunto, a far sì che l’uomo adulto fosse pronto alla guerra, alla politica e, solo in seconda battuta, alla cultura e alla capacità di godere il pensiero, la musica o l’arte.
La vicenda di Alessandro Magno ne è la testimonianza. Sebbene non ci sia, se non forse in Cristo o Buddha, un’analoga testimonianza storica del magnifico potere della giovinezza, lanciato nel mondo con tutto il suo portento, non si diventa Alessandro per caso. Prima delle sue titaniche imprese nel mondo asiatico, infatti, a diciotto anni, egli guidò la carica della cavalleria a Cheronea, nel 338 a. C.. Ossia nella battaglia in cui il padre, Filippo II di Macedonia, sconfisse gli eserciti degli Ateniesi e dei Tebani riuniti, impadronendosi, di fatto, della Grecia.
Uno sguardo che illumina
Quando la filosofia e la letteratura sono serie (e profonde), hanno la capacità di illuminarci sulle questioni difficili della condizione umana sulla terra. Non solo Leopardi e Freud, ma anche Walter Benjamin e Theodor W. Adorno – per non parlare di un libro come “La lingua salvata. Storia di una giovinezza” (1977, ed. it. Adelphi) di Elias Canetti – hanno riflettuto, in modo mirabile, sull’infanzia e la giovinezza.
Certamente la dimensione del gioco è quella centrale nell’infanzia e nell’adolescenza. Quel gioco che è una dimensione tanto seria, da avere un ruolo centrale in grandi pensatori come Eraclito, Hegel e Nietzsche. Scrive ad esempio Eraclito nel frammento 52: “la vita è un fanciullo che gioca, che sposta i pezzi sulla scacchiera: reggimento di un fanciullo” (trad. it. di G. Colli).
Per questo genere di ragioni, dai bambini abbiamo sempre da imparare. Mentre, per gli adulti, non è possibile dire la stessa cosa. In fondo, l’infanzia è la dimensione più vicina all’origine. Nell’età adulta dimentichiamo molte cose e abbiamo bisogno di arte e filosofia per provare a recuperarle.
Le praterie della tecnologia
Un’ultima considerazione può essere utile, per ricongiungersi al primo tema che abbiamo toccato, relativamente alle insidie del benessere. Ed è questa. Senza voler scaricare sulla globalizzazione e sulla società dei consumi, anche i mali che essa non possiede, appare, tuttavia, di cruciale importanza riflettere sulla formazione mentale e psicologica delle giovani generazioni.
Chi scrive fa parte di quella generazione che, per la prima volta nella storia umana, è cresciuta interamente davanti alla televisione. Che si trattasse dei cartoni animati, delle trasmissioni di intrattenimento per ragazzi, dei film della Disney, dei telefilm americani, del calcio e degli altri sport, dei primi film e dei documentari, si tratta di uno spazio di tempo immenso. Utilizzato ad ingollare, in modo passivo, contenuti di ogni tipo.
Poi vennero i primi videogiochi. Oggi non c’è famiglia a tavola in un ristorante che, nell’impossibilità di calmare l’irrequietezza del bambino, non sia costretta a tirar fuori un supporto digitale con il cartone o il videogioco all’ultima moda. Il problema non è di tipo etico, ma di tipo psicologico.
La passività che televisione e internet hanno come loro portato naturale, impedisce l’accesso a quella dimensione di creatività e iniziativa cui era costretto chi, per giocare, aveva soltanto poche biglie o un pallone. Stiamo entrando in un’epoca nuova, in cui la vigilanza critica è l’impegno etico minimo, cui nessun adulto si deve sottrarre…