La feconda ricchezza del Moderno: Leibniz e il migliore dei mondi possibili
L’idea di Leibniz del migliore dei mondi possibili, è profondamente connessa con il problema del Male
L’attenzione della cultura filosofica statunitense verso la grande tradizione europea, è testimoniata da due storici della filosofia come Terry Pinkard e Steven Nadler. Entrambi testimoniano della feconda ricchezza del Moderno, in un’epoca globale, dominata dalla dimensione digitale, che viaggia alla velocità della luce.
Pinkard si è segnalato per i suoi imponenti studi sull’idealismo tedesco, e su Hegel in particolare, molti dei quali tradotti in italiano. Nadler, viceversa, si è occupato dei molteplici risvolti interpretativi dell’opera di Spinoza – dalla vita, al pensiero politico, alla metafisica – ma anche di Descartes e Leibniz.
Un grande dibattito
Per quanto concerne Leibniz, Nadler ha pubblicato una splendida ricerca: “Il migliore dei mondi possibili. Una storia di filosofi, di Dio e del Male” (2008, ed. it. Einaudi). Essa ha al centro la disputa tra Leibniz, N. Malebranche e A. Arnauld, a proposito della famosa tesi leibniziana, contenuta nell’opera capitale intitolata “Teodicea” (1710), sul nostro come migliore dei mondi possibili.
Come Nadler non manca di sottolineare, il retroterra di quel grande dibattito, è l’influenza enorme esercitata dal pensiero di Descartes. Del resto, sono molti i protagonisti del pensiero filosofico e scientifico europeo che, in maniera più o meno velata, fanno sentire la loro presenza: da Giordano Bruno, a Galilei, allo stesso Descartes, a Pierre Bayle, a Spinoza, a Newton.
Non importa se, dal punto di vista delle cognizioni proposte, si tratta di un mondo intellettuale molto lontano dal nostro, inattuale avrebbe detto Nietzsche. Così come non ha molta importanza se, da non credenti, ci si sente estranei ad una discussione filosofica e teologica che ha al suo centro Dio e il problema del Male.
Resta che Nadler ci rende spettatori di un dibattito filosofico di primaria importanza, di fronte a cui vengono a cadere tutti i tipi possibili di ‘distinguo’. Ciò non solo perché si tratta di quel processo di maturazione ideale, alla base della prima età moderna, senza di cui è impossibile comprendere in profondità il nostro mondo. Ma anche perché è giusto, e sacrosanto, cedere le armi di fronte alla grandezza, in qualsiasi forma essa si manifesti.
Una lezione di profondità
Ma c’è qualcosa di più. Come ben spiegato da Nadler, l’idea di Leibniz del migliore dei mondi possibili, è profondamente connessa con il problema del Male e questo tema, seppure profondamente implicato con la tradizione biblica vetero e neo-testamentaria, riguarda l’umanità di ogni tempo e luogo.
Basti pensare a fenomeni capitali del mondo contemporaneo come Auschwitz, per capirlo, ma anche alle tragedie del quotidiano, agli adolescenti che perdono la vita sulle nostre strade, quasi tutti i giorni.
Ma sarebbe sbagliato, come fece Voltaire in “Candido o L’ottimismo” (1759) – in ogni caso la più grande risposta a Leibniz mai tentata – leggere la tesi leibniziana come un’interpretazione storico-politica del mondo moderno ed è merito di Nadler spiegarlo con chiarezza. La tesi di Leibniz sul migliore dei mondi possibili è una tesi metafisica, di quando i nostri grandi filosofi non si potevano permettere lussi come la critica del presente, alla maniera di Nietzsche o di Marx.
La vertigine del Moderno
Nel tempo in cui le conseguenze del confronto tra Chiesa di Roma e Riforma luterana erano fresche e aspre, filosofia e teologia erano ancora molto vicine, se non fuse. Così come erano vicine filosofia e scienza, molto più di quanto non lo siano adesso.
Il mondo aveva ancora caratteri classici, la rivoluzione industriale era ancora al di là delle possibili previsioni, allo stesso modo in cui lo erano le democrazie per come oggi le conosciamo.
Tuttavia se pure Copernico, Bruno, Francesco Bacone, Galilei, Descartes, Spinoza, Newton erano annunciatori dei tempi nuovi, il dibattito tra Leibniz, Malebranche e Arnauld sulla teodicea e il migliore dei mondi possibili, per come Nadler ce lo presenta nel suo bellissimo libro, aveva ancora caratteri tardo-medioevali, con una costante, ossessiva centralità del pensiero di Dio, cristianamente inteso.
Eppure, se si è in grado di andare al di là di certi schemi precostituiti, il dibattito tra i tre pensatori, e la filosofia di Leibniz in particolare, hanno la capacità di guidarci alla percezione del lato divino dell’essere (analogamente alla musica di Bach). Per il quale, il pensiero di Dio – che pure ha avuto nella tradizione europea un’importanza storica decisiva – non è che una delle molte categorie con le quali è possibile designarlo…