La fuga all’estero dei giovani italiani. Chi scappa via? I migliori
Gli stessi svantaggi che invogliano i giovani italiani a cercare altrove migliori opportunità, scoraggiano quelli di altri paesi europei a venire in Italia
Ogni anno l’Italia perde 71.000 Italiani che vanno a lavorare all’estero. Tra questi più della metà sono giovani, magari laureati, artigiani, cuochi, imprenditori. Che vanno ad arricchire altri contesti impoverendo la nostra società. Si può andare avanti così? Il Presidente Mattarella ha lanciato un grido di allarme.
L’Italia è demograficamente in caduta libera non solo perché si fanno meno figli ma anche perché i giovani emigrano sempre di più per cercare occupazione all’estero. Al 1° gennaio 2022 i cittadini italiani iscritti all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) era di 5.806.068, il 9,8% degli oltre 58,9 milioni di Italiani residenti in patria. Ogni anno però l’Italia perde lo 0,5% di popolazione residente (-1,1% dal 2020 ovvero 790mila residenti). In termini assoluti si tratta di 154mila nuove iscrizioni all’estero contro 274mila italiani emigrati.
Il problema dell’iscrizione all’Aire e della residenza fiscale
Gli iscritti all’Aire sono però una minoranza degli Italiani che vivono all’estero. Un po’ per la ritrosia degli Italiani a iscriversi nelle liste della pubblica amministrazione, un po’ perché non hanno ancora deciso se vogliono restare all’estero o tornare o magari cambiare paese. Qualcuno teme di essere bersagliato dalle richieste dell’Agenzia delle Entrate anche se svolge un’attività tutta fuori dei confini nazionali, ma l’Italia è un paese che tassa tutti i redditi della persona, anche quelli esteri, se è residente fiscale in Italia. Quella della residenza fiscale è infatti la condizione essenziale.
Spesso un italiano che vive e risiede all’estero non ha più la residenza in Italia ma non ha abbandonato il domicilio italiano, presso i genitori, per esempio. Oppure non si è iscritto all’Aire e risulta emigrato ma ancora residente e domiciliato in Italia. Sono tutte situazioni che causano problemi. Da poco una legge impone a chi vive e lavora all’estero di iscriversi all’Aire. Di figurare cioè come residente estero e se vuole, di trasferire all’estero anche la sua residenza fiscale.
Sono 1,4 milioni, 71 mila l’anno, gli Italiani che hanno lasciato il Paese tra il 2002 e il 2021
I giovani italiani emigrati sono il triplo di quelli che pensavamo. Ne ha parlato la rivista Wired il 6 novembre dello scorso anno. Secondo e dati Istat più aggiornati, tra il 2002 e il 2021 gli Italiani che hanno lasciato il nostro Paese per trasferirsi all’estero sono stati circa 1.4 milioni, in media oltre 71 mila ogni anno. Nelle statistiche si conteggiano a volte gli emigrati e a volte i cittadini Italiani che momentaneamente risiedono all’estero ma non è detto che vi permangano, poi ci sono gli Italiani che hanno preso la cittadinanza estera e anche i loro discendenti.
Per cui ci sono paesi come l’Argentina e il Brasile con un numero di Italiani di diversi milioni, anche più degli Italiani residenti in Italia, ma si tratta per lo più di discendenti, che talvolta ricordano un po’ la lingua italiana ma più spesso neanche la parlano, mantenendo magari abitudini e tradizioni o parlando al limite il dialetto della regione di provenienza più che l’italiano. In questo articolo ci vorremmo occupare dei giovani che scappano dall’Italia, preferibilmente con un titolo di studio, un mestiere, per cercare fortuna fuori dai confini e, nel caso, decidere di trasferirsi per sempre. Che sono ormai la maggioranza tra quelli che emigrano.
Fuggono quelli più intraprendenti, con ottime capacità imprenditoriali e studi avanzati, in poche parole i migliori!
Il Presidente Sergio Mattarella, in proposito alla fuga dei cervelli più giovani, ha lanciato un grido di allarme: “A partire sono principalmente i giovani – e tra essi giovani con alto livello di formazione – per motivi di studio e di lavoro. Spesso non fanno ritorno, con conseguenze rilevanti sulla composizione sociale e culturale della nostra popolazione. Partono anche pensionati e intere famiglie, in molti casi chi lascia il nostro Paese lo fa per necessità e non per libera scelta, non trovando in Italia una occupazione adeguata al proprio percorso di formazione e di studio”
La tendenza dei giovani italiani a lasciare l’Italia per motivi di lavoro è influenzata da una serie di fattori, tra cui le opportunità di lavoro disponibili, le prospettive economiche, le condizioni sociali e la ricerca di nuove esperienze all’estero. In Italia, soprattutto nelle grandi città come Roma, la disoccupazione giovanile è alta e le opportunità di lavoro sono limitate, specialmente per i giovani appena entrati nel mercato del lavoro. Questa situazione porta i giovani a cercare opportunità all’estero, dove trovano settori con maggiori possibilità di crescita e di impiego. La crisi economica degli ultimi anni ha reso il mercato del lavoro italiano più competitivo e ha aumentato la precarietà occupazionale, con contratti temporanei e bassi salari che possono non soddisfare le aspettative dei giovani laureati o professionisti.
All’estero ci sono migliori occasioni di impiego, stipendi più alti, facilitazioni e meno raccomandazioni, conta il merito
All’estero si trovano migliori opportunità d’impiego. Soprattutto nei settori ad alta specializzazione come la tecnologia, la ricerca scientifica, la finanza o la consulenza, con possibilità di stipendi più alti, migliori condizioni di lavoro e maggiore possibilità di crescita professionale.
Molti giovani sono attratti dalla prospettiva di vivere e lavorare in un ambiente internazionale, imparando nuove lingue, conoscendo nuove culture e acquisendo esperienze di vita e lavoro all’estero che potrebbero arricchire il loro bagaglio personale e professionale.
Oltre ai fattori economici, ci sono motivazioni personali e aspirazioni che spingono i giovani a cercare opportunità di lavoro all’estero, come il desiderio di indipendenza, la ricerca di nuove sfide o l’interesse per nuove esperienze di vita e di lavoro.
In definitiva, la tendenza dei giovani a lasciare l’Italia per motivi di lavoro è il risultato di una combinazione di fattori economici, sociali e personali che influenzano le loro scelte di carriera e di vita.
Ad emigrare ormai sono sempre più spesso i giovani tra i 18 e i 34 anni
Aumenta la percentuale dei giovani che emigrano ed emigrano soprattutto le fasce più giovani rispetto ai primi anni 2000. Ossia i 18-34enni sono ormai il 41,59% rispetto al 2002 quando erano il 21,67%. Negli ultimi due anni, 2021 e 2022, per via del Covid, l’emigrazione si è ridotta, da 130 mila a 80 mila, e il profilo degli italiani che si sono trasferiti all’estero è notevolmente cambiato: i giovani fino a 34 anni sono percentualmente cresciuti dal 37% al 61%, mentre sono diminuiti gli over 50 scesi dal 40% a meno del 15%.
Significa che in percentuale sono i giovani che se ne vanno, anche se l’emigrazione tocca tutte le fasce d’età. Anche gli over 65 se ne vanno ma per trascorrere gli anni della pensione al meglio in zone come il Portogallo, le Isole Canarie, la Tunisia o l’Albania, dove ci sono facilitazioni sulle tasse e la vita è meno cara.
Chi è partito e da dove negli anni 2021-2022
Nei due anni indicati gli Italiani all’estero sono in maggioranza giovani con meno di 34 anni (61%) e adulti fino a 49 anni (24%) per un totale dell’85%, maschi (54,7%), celibi e nubili (66,8%), provenienti dalla Lombardia (19%), Veneto (11,7%), Sicilia (9,3%), Emilia Romagna (8,3%), Piemonte (7,4%), per risiedere prevalentemente in Europa: Regno Unito (23%), Germania (14%), Francia (11,3%), Svizzera (8,9%), Spagna (5,8%) – mentre la destinazione extraeuropea preferita è il Brasile (5,4%).
I Paesi più attrattivi per i nostri giovani in fuga: Germania e Regno Unito ma anche Francia e Svizzera
I paesi che attraggono maggiormente i nostri giovani sono il Regno Unito, Londra in particolare, nei settori della finanza, in quello tecnologico, delle arti, della moda e dell’ospitalità. Anche se dopo la Brexit le politiche sull’immigrazione hanno ridotto le opportunità di lavoro per i cittadini europei. C’è poi la Germania con città come Berlino, Monaco e Amburgo che offrono una vivace scena lavorativa, soprattutto nei settori dell’ingegneria, della tecnologia, della ricerca scientifica e dell’industria automobilistica. La Germania è conosciuta per i suoi salari competitivi e per il suo sistema educativo e sanitario di alta qualità.
La Svizzera e città come Zurigo, Ginevra e Basilea sono note per i loro alti salari e le eccellenti condizioni di lavoro. Il settore bancario, l’ingegneria, le scienze naturali e l’industria farmaceutica offrono molte opportunità di lavoro per i giovani qualificati.
Città come New York, San Francisco, Los Angeles e Boston negli Usa sono sempre attrattive per le loro grandi opportunità lavorative nei settori della tecnologia, del divertimento, delle finanze, della ricerca scientifica e dell’istruzione superiore. Tuttavia, ottenere un visto di lavoro negli Stati Uniti è spesso impegnativo e complicato.
Verso paesi come Svezia, Norvegia, Danimarca e Finlandia sono aumentati ultimamente i flussi per i loro alti standard di vita, il benessere sociale e le buone condizioni di lavoro. Australia e Nuova Zelanda offrono ampie opportunità nei settori dell’ingegneria, delle tecnologie dell’informazione, della sanità, dell’istruzione e dell’ospitalità. Le politiche di immigrazione relativamente aperte possono rendere più accessibile il trasferimento per i giovani qualificati.
La necessità di un cambio di rotta negli stili di vita e di gestione del potere del nostro Paese
Il dato si configura come una diaspora che tende ad aumentare sempre più se non si corre ai ripari, cambiando le linee politiche ed economiche in corso. Ma significa cambiare mentalità, dare spazio ai giovani, eliminare le raccomandazioni, privilegiare il merito, ridurre o eliminare del tutto le influenze della politica nelle università e nei settori produttivi e della comunicazione. Ma oggi la politica mette bocca su troppe cose in Italia: i dirigenti dei mezzi di comunicazione, della Sanità Pubblica, delle Ferrovie, delle Autostrade, la gestione delle aziende di maggior interesse spesso anche private, entra nella magistratura, nella scuola, nella ricerca universitaria, e non sempre a fin di bene.
Quel che è peggio che a parola tutti gli Italiani se ne lamentano ma poi, nei fatti, cercano l’aiuto, la raccomandazione, accettano questa scappatoia per raggiungere un risultato e non si rendono conto che si scavano la fossa da soli. I condoni, le consorterie, i favori alle corporazioni ti fanno guadagnare qualche briciola oggi ma ti precludono la strada del domani. Se l’Italia non si adeguerà agli standard gestionali e produttivi europei e nordamericani, sarà presto tagliata fuori dal consesso dei Paesi più importanti al mondo.
Il nostro resta un paese poco attrattivo e finché lo sarà non aspettiamoci progressi
Ciò che ci rende poco attrattivi è l’atteggiamento verso i giovani e il lavoro. All’estero ci si realizza anche con il lavoro, non soltanto, non è l’unico scopo della vita. Con quello che guadagni puoi realmente costruirti una famiglia, viaggiare, farti una posizione, avere una vita di soddisfazioni che in Italia ti viene negata. All’estero se hai delle conoscenze professionali di base le potrai valorizzare e far crescere aumentando l’autostima. Il giovane impiegato viene valorizzato e responsabilizzato.
Dipende da lui la possibilità di fare carriera e non dalla raccomandazione, dagli amici del padre, dal fatto che altri lo scavalcheranno senza meriti. Chi vale viene subito innalzato nella carriera e se fallisce estromesso ma se si afferma premiato. Questo meccanismo induce alla competizione positiva e anche al riconoscimento delle qualità umane e professionali. Si possono raggiungere incarichi importanti anche da giovani mentre in Italia se non sei vecchio difficilmente avrai incarichi di responsabilità.
Per questo motivo l’Italia contribuisce a creare flussi meritori e a non beneficiarne
I dati Istat sono sufficienti a dimostrare “l’esistenza di un circuito di movimento giovanile all’interno dell’Unione europea e della Svizzera. – spiega Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione nord est e tra gli autori di uno studio sui flussi dei giovani europei –Circuito al quale però l’Italia non partecipa, se non come primo fornitore”. Alle 377mila partenze di giovani italiani registrate tra il 2011 e il 2021 corrispondono infatti soltanto 51mila ingressi in Italia dei loro coetanei stranieri.
Gli stessi svantaggi che invogliano i giovani italiani a cercare altrove migliori opportunità, scoraggiano quelli di altri paesi europei a venire in Italia. E così le nuove generazioni prediligono altre mete. Su un campione di sette nazioni (Belgio, Danimarca, Spagna, Italia, Paesi Bassi, Svezia e Svizzera) è emerso che un terzo della popolazione europea tra i 20 e i 39 anni sceglie la Svizzera, seguita dalla Spagna. “Il paradosso – sostiene Paolazzi – è che la seconda beneficiaria sia una nazione anch’essa latina e culturalmente molto simile all’Italia, che invece si attesta ultima in classifica”.
Soltanto il 6% dei giovani europei la sceglie infatti come destinazione del proprio trasferimento. Il perché l’Italia piaccia così poco lo sappiamo, non ce lo dobbiamo raccontare ancora. Ma dipende dagli Italiani cambiare questo Paese, da nessun altro. Basterebbe prendere ad esempio quello che fanno altri paesi europei nella scuola, nella ricerca, nell’avvio al lavoro, nelle remunerazioni, nelle agevolazioni per giovani e famiglie. Non ci vorrebbe poi tanto.