La guerra e il martello della Storia
“Ottimisticamente e ingenuamente dissi a me stesso, che un’epoca simile non poteva più tornare” (Daniele Lorusso)
Nel terzo decennio del ventunesimo secolo dell’era cristiana – quello in cui ci troviamo oggi – con una svolta repentina, com’è nel suo stile, la Storia ci mette di fronte a due eventi che, nel corso storico della vita dell’uomo, sono sempre stati macroscopici: guerra ed epidemia. Inutile dire che non eravamo né preparati, né abituati.
L’epoca della globalizzazione ha prodotto, almeno nei paesi occidentali, un tale livello di benessere (almeno per coloro che non sono, da questa società, marginalizzati), che se è positivo da un lato, dall’altro ha trasformato gli uomini, rendendoli molli, inerti, fragili e impreparati alle difficoltà.
Già il grande Machiavelli, cinque secoli fa, all’inizio della sua opera maggiore, i “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio”, aveva parlato della “debolezza nella quale la presente religione ha condotto el mondo”. Per il più grande pensatore politico del Rinascimento, innamorato del vigore pagano, dell’attitudine romana alla vita militare, della gloria intesa nel senso antico del termine, non potevano esserci paragoni con un mondo governato dai preti, quale la Chiesa di Roma aveva costruito.
Dunque, quello che abbiamo potuto constatare, di fronte all’epidemia di Coronavirus e all’invasione russa dell’Ucraina, è la nostra impreparazione a questo genere di difficoltà. Difficoltà, ripetiamo, che nel corso della Storia umana sono esistite sempre. La nostra impreparazione e sorpresa è il sottofondo inconscio da cui nascono molte teorie di stampo complottista e dietrologico. Ci atterremo in questa breve nota, all’aspetto relativo alla guerra.
Uno sguardo sulla Storia: le origini
Se si vuole considerare la guerra di Troia, narrata da Omero nell’“Iliade”, come appartenente all’epica e al mito – la prima guerra “totale” svoltasi su suolo europeo sono le Guerre persiane. In esse, si contrapposero la Grecia da un lato e la Persia dall’altro. Non solo ma in questo scontro cruciale e decisivo per la libertà occidentale, che Erodoto ci narra nelle sue “Storie”, abbiamo anche di fronte, per la prima volta, un conflitto tra Occidente e Asia.
L’atmosfera è avvolta da un’aura di leggenda. Siamo nel 490 a. C. e Milziade il giovane, a capo dell’esercito ateniese, respinge – sulla piana di Maratona – l’attacco dei Persiani. Si tratta di un evento incredibile, che conferisce alla civiltà greca un senso e una sicurezza di sé, prima sconosciuti. La generazione dei “maratonomachi”, di cui fecero parte il grande tragediografo Eschilo e suo fratello, assurge al massimo onore nella storia della nazione ellenica.
Ma siamo solo all’inizio. Dieci anni più tardi, i Persiani capitanati da Serse ritentano l’impresa, portando con sé un numero impressionante di forze militari e logistiche. Al passo delle Termopili, nel 480 a. C., il re spartano Leonida con i suoi trecento Spartiati resiste eroicamente ai Persiani, immolandosi per l’estremo sacrificio, solo perché gli asiatici riescono ad aggirare il passo grazie al tradimento di Efialte.
Nello stesso anno, l’ateniese Temistocle consegue il grandissimo risultato della vittoria navale di Salamina. Nell’anno successivo, il 479 a. C., è il reggente spartano Pausania a guidare i Greci verso la definitiva vittoria di Platea.
Chi volesse approfondire, può trovare nel portale dell’Enciclopedia Treccani, le voci redatte da Gaetano De Sanctis, grande storico del mondo antico, negli anni ’30 del secolo scorso, su incarico di Giovanni Gentile, per l’“Enciclopedia Italiana”.
Passano circa cinquant’anni, il periodo della storia greca chiamato “Pentecontetia”, e sarà il momento dello scontro trentennale tra Sparta e Atene, la cosiddetta “Guerra del Peloponneso” narrata da Tucidide. Ciò per quanto concerne le origini…
Uno sguardo sulla Storia: il recente passato
Passano duemila e cinquecento anni, di guerre feroci, a volte agghiaccianti: Alessandro Magno, i Romani, le Crociate, le guerre del Rinascimento, le guerre dell’età moderna, Napoleone. Finché l’Occidente si trova, di nuovo, di fronte a qualcosa di inaudito e di terribile.
Per il grande scrittore satirico Karl Kraus, la Prima guerra mondiale coincise con Gli ultimi giorni dell’umanità. Così si intitola la sua grande opera satirico-drammatica del 1922 (trad. it. Adelphi). Si tratta di un libro di forza stilistica, umana e filosofica straordinaria, che registra l’immane cambiamento intervenuto con quella che Jünger chiamò la “mobilitazione totale”.
Sta irrompendo una nuova forma di guerra e una nuova forma di umanità, ci dice Kraus, da quando uno straordinario sviluppo tecnologico è stato applicato all’industria bellica. Da questo punto di vista, la Seconda guerra mondiale farà ancora di più: la forza distruttiva delle armi è cresciuta in modo esponenziale. Irrompono i Lager, la Shoah, le atomiche sganciate dagli americani su Hiroshima e Nagasaki, lo stalinismo.
Adorno scrisse, nel cruciale aforisma 149 di “Minima Moralia” – intitolato “Non esageriamo” (Halblang) -che è cruciale, per cogliere la vera identità del tutto, ossia il terrore senza fine, non lasciarsi sfuggire la consapevolezza dell’aumento dell’orrore, di ciò che rende diversa l’epoca di Auschwitz da quella della Guerra del Peloponneso.
Uno sguardo sul presente
Ciò che rende, dunque, drammatica e angosciosa la situazione della guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina – al netto delle interpretazioni complottiste (il potere e la propaganda hanno sempre giocato sporco, fin dalla notte dei tempi) – non è soltanto che la guerra è ricomparsa sul suolo europeo, come raramente era accaduto negli ultimi decenni. La fonte dell’angoscia è data da questo elemento: la guerra ricompare sul suolo europeo, in un’epoca in cui il mondo è carico di ordigni nucleari e di centrali atomiche.
A questo proposito mi sia concesso lo spazio di un breve ricordo personale. Alcuni anni fa quando, per queste pagine, avevo deciso di commentare il grande libro di Karl Jaspers, “La bomba atomica e il destino dell’uomo” del 1958, pensai che fosse datato. Almeno nella misura in cui l’opera, frutto di un’intelligenza filosofica prodigiosa come quella di Jaspers, risentiva del clima della guerra fredda e del terrore relativo ad un olocausto nucleare. Ottimisticamente e ingenuamente dissi a me stesso, che un’epoca simile non poteva più tornare.
Dunque, la lezione che è possibile trarre dall’esperienza drammatica che il nostro continente sta vivendo in questo periodo è la seguente: non sottovalutare la natura malvagia del Potere, da una parte. Dall’altra lasciarsi guidare dalla filosofia e dalla riflessione umanistica, che ci insegnano a conservare e coltivare il senso di umanità, e dunque la pace, che è dentro di noi.