La molestia sessuale mediatica senza giustizia reale corre sui Social
Sono sempre più diffuse le condanne virtuali senza nessun vero processo e certezza del reato
Possono i Social e il Web decretare una molestia sessuale senza che vi sia un processo reale e delle prove di colpevolezza concrete?
Soprattutto dopo il fenomeno del #metoo, che un paio di anni fa ha infiammato le cronache per molte settimane e che vide condannare molestatori seriali che, per anni, avevano abusato sessualmente di attrici, accade oggi che, con periodicità ormai quasi regolare, qualche vip riceva le stesse accuse da parte di collaboratori.
Questi ultimi, dopo aver subìto per lungo tempo illeciti trattamenti di questo tipo, decidono di allearsi per demolirlo.
#Metoo e la condanna di Harvey Weinstein
La condanna di Harvey Weinstein a 23 anni di carcere per abusi sessuali commessi nel corso degli anni (anche risalenti) fu determinata infatti da una serie di “dichiarazioni” a catena di analogo contenuto da parte di note dive dello spettacolo.
Le attrici, a seguito delle dichiarazioni della prima, si susseguirono per sostenerla, per darne conferma e raccontare poi a loro volta di aver subìto lo stesso trattamento da costui. Spesso anche con dovizia di particolari spesso inquietanti.
I mezzi di comunicazione hanno ha favorito la diffusione della notizia, che comunque meritava le indagini del caso. Hanno generato poi questo gruppo spontaneo di opinione ove le donne sostenevano le attici “confesse” per aver finalmente denunciato personalmente l’assurda modalità maschilista ancora troppo diffusa di “dare per scontata” la prestazione sessuale nel campo del lavoro artistico.
Essa è stata contrapposta a uomini che hanno messo in discussione anche i limiti di liceità del corteggiamento, scatenando una vera e propria guerra tra sessi attraverso i social networks.
Quando la molestia sessuale è decretata dai Social
Tuttavia, va anche detto che, come purtroppo spesso accade, dette circolazioni di notizie sono esageratamente propagate nel web. E così accade che favoriscano la speculazione economica di chi intende maturare danaro da illeciti risarcimenti laddove invece la prestazione sessuale è avvenuta col consenso di entrambi.
Stavolta, sotto i riflettori delle notizie su questo tema “hard” di alto scandalo c’è la figura del trentasettenne stilista di alta moda Alexander Wang. Lo stilista è originario taiwanese ma californiano di San Francisco, enfant prodige del settore, lanciato giovanissimo a seguito di un concorso su Vogue.
Considerato una vera stella nel suo settore, titolare di marchi e responsabile del brand Balenciaga fino al 2013, è stato accusato di aver molestato e palpeggiato diversi ragazzi.
E di aver addirittura messo a disposizione di ragazzi conosciuti, sia in discoteca che dopo gli after party, alcune bottigliette d’acqua «corrette» con sostanze psicotrope. Al fine di generare in loro uno stato confusionale tale da indurre le presunte vittime a compiere attività sessuali con lui.
Alexander Wang, la condanna virtuale senza processo reale
Il tutto sarebbe avvenuto tra il 2010 e il 2019. Ma detti fatti sono tutti da accertare in quanto, al momento, non risultano iscritti procedimenti penali a carico dello stilista perché evidentemente nessuno lo ha denunciato alle autorità giudiziarie.
E’ invece però accertato che, alcune settimane fa, lo scandalo sarebbe partito proprio dai social e poi amplificato dal tam-tam digitale.
Tale tam-tam sarebbe iniziato su TikTok da un suo modello. Quest’ultimo senza fare il suo nome lo ha genericamente indicato come un “noto designer” che nel 2017 lo aveva palpeggiato in un club.
A seguito ciò, molti amici noti e importanti di Alexander Wang lo stanno via via “defollwerizzando”, boicottando anche le sue linee di moda. Di fatto gli stanno infliggendo una gravissima condanna virtuale.
La condanna viene attuata con la moltiplicazione di “storie” su tutti i social che, con fonti anonime, attirano l’attenzione sul caso. Avviene così che si screditi in ogni caso la figura dello stilista, che senza essere imputato sta per essere condannato.
In pratica, siamo in presenza di un caso di giustizia virtuale che corre sul web senza un processo vero per accertare le responsabilità di questa persona.
La domanda finale è: ma se andremo avanti così, fino a quando serviranno ancora i tribunali?
Laura Vasselli, Avvocata Familiarista