La polizia e i manganelli: Piantedosi è moralmente dimesso da Mattarella
Negli anni ’70 raramente si assisteva all’immotivata aggressione dei manifestanti da parte delle forze dell’ordine. Eppure erano anni roventi
Il diritto di manifestare
Negli anni settanta, come quasi tutti i ragazzi della mia generazione schierati politicamente, ero pronto a manifestare contro tutto ciò che non mi convinceva. Erano anni di cambiamento e per molti di noi ribellarsi a ciò che appariva stantìo – come la scuola nozionistica e autoritaria o la società classista e reazionaria che emarginava le donne e gli operai – era una necessità vitale, prima ancora che un dovere morale.
La mia prima manifestazione fu nel 1968, contro l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe sovietiche. Partecipare al corteo degli studenti che assediarono per qualche ora l’Ambasciata Sovietica con slogan a sostegno di Dubcek e della “primavera di Praga” fu fin troppo facile, perché l’Ambasciata sovietica era adiacente alla mia scuola. Ma avrei volentieri attraversato tutta la città per gridare la mia indignazione contro quell’aggressione liberticida.
Manifestare senza autorizzazione
La manifestazione, ovviamente non autorizzata, pressava i cancelli dell’ambasciata, ma la polizia, intervenuta a proteggere l’ambasciata, si limitò ad osservarci, assicurandosi che la situazione non degenerasse. Poco dopo, soddisfatti della nostra azione, ma convinti anche dalle maniere decise, ma non aggressive, del Commissario che coordinava i celerini, rientrammo in modo ordinato e tranquillo a scuola.
Quella fu la prima di una lunga serie di manifestazioni alle quali partecipai negli anni a seguire: contro la guerra nel Viet-Nam; in difesa dei diritti di donne, studenti e lavoratori; contro le stragi di Stato e, infine, contro il terrorismo rosso e nero che macchiava di sangue innocente le strade di Roma negli “anni di piombo”. Manifestazioni che non sempre erano autorizzate.
La capacità di gestire l’ordine pubblico
Furono tempi cupi, costellati di scontri durissimi tra le opposte fazioni, che misero a dura prova le capacità di chi coordinava le Forze dell’Ordine. Ma raramente si assisteva all’immotivata aggressione dei manifestanti da parte delle forze dell’ordine. Eppure erano anni in cui i Questori, i Commissari e persino i semplici poliziotti, non avevano certo simpatia per gli studenti, di sinistra, che contestavano il sistema. Antipatia e disprezzo ricambiati cordialmente dai manifestanti che sapevano benissimo che cambiare la direzione di un corteo o manifestare senza l’autorizzazione della Questura, avrebbe esposto alla reazione, spesso brutale, dei celerini.
Il rischio di violare le regole
Ma faceva parte delle “regole d’ingaggio” e i rischi, altissimi, erano noti a tutti, tanto alle opposte fazioni che si scontravano tra loro, quanto ai poliziotti costretti a scontrarsi con entrambi. A dirla tutta, la polizia prediligeva manganellare i “rossi” ed era più disponibile a tollerare le intemperanze dei “neri”, ma anche questo faceva parte del gioco, dato che i “neri” difendevano lo status quo e i “rossi” volevano sovvertirlo. La sinistra lamentava la brutalità delle reazioni poliziesche, ma era cosciente del fatto che combattere “l’ordine costituito” comportasse dei rischi, come ammoniva Mao Tze Tung ricordando che “la rivoluzione non è un pranzo di gala”. Dunque, perché meravigliarsi delle manganellate?
Il nesso con i fatti di Pisa
Veniamo ora a quello che è successo agli studenti di Pisa e Firenze, che nei giorni scorsi hanno manifestato contro il massacro del popolo palestinese a Gaza. Sui fatti, abbiamo registrato le opinioni divergenti di Governo e opposizione che hanno tirato, ovviamente, l’acqua al loro mulino: gli uni per sostenere che gli studenti se la sono cercata, gli altri per sostenere invece che la reazione della polizia è ispirata da una visione reazionaria e fascista del Ministro Piantedosi che, a loro parere, dovrebbe dimettersi.
Piantedosi moralmente dimesso da Mattarella
Piantedosi non credo che si dimetterà, non tanto per non ammettere la propria incapacità di gestire l’ordine pubblico, quanto per non aprire, in vista delle prossime elezioni europee, una falla nella compagine governativa, già abbondantemente provata dalle continue tensioni tra Fd’I e Lega.
Ma sono le inusuali e dure parole del Presidente della Repubblica, secondo il quale “I manganelli sui ragazzi sono un fallimento” a chiedere, di fatto, le dimissioni del Ministro. Il “fallimento” della gestione dell’ordine pubblico è il fallimento del Ministro dell’Interno, oggettivamente responsabile del comportamento delle forze dell’ordine.
Piantedosi è reazionario?
I fatti di Pisa non possono di per sé dimostrare la tentazione reazionaria e “fascista” del Ministro, ma è un dato di fatto che, da quando c’è questo Ministro, le manganellate indiscriminate e intimidatorie si ripetono con un po’ troppa frequenza. Ci lamentiamo spesso del disinteresse dei giovani verso la politica, ma poi, quando i giovani scendono in piazza per gridare il loro dissenso li prendiamo a manganellate “un tanto al chilo”. Per alcuni versi questo metodo intimidatorio potrebbe stimolare una maggiore ribellione e quindi una maggiore partecipazione dei nostri giovani, ma la legittima ribellione alla violenza, non è detto che favorisca la crescita di una coscienza politica democratica.
Il delicato compito delle forze dell’ordine
E qui voglio tornare al punto dal quale sono partito: se è vero che cambiando la direzione di una manifestazione – più o meno autorizzata – si rischia la reazione della polizia, è altrettanto vero che il compito della polizia, se ben diretta, non è certo quello di manganellare indiscriminatamente i manifestanti, al fine di dissuaderli dai loro propositi, ma è quello di valutare le circostanze oggettive e di decidere se esse, alla luce del comportamento dei manifestanti, possano far temere per la sicurezza dei cittadini o mettere a rischio l’ordine pubblico. Esattamente come fece, nell’autunno del 1968 il Commissario di P.S. che seguiva la manifestazione dei miei compagni di liceo davanti all’Ambasciata sovietica.
Dov’era il pericolo?
Gli studenti di Pisa erano facinorosi o pericolosi? Erano recidivi? Avevano comportamenti sospettosi o aggressivi? Potevano mettere in pericolo, cambiando la direzione del loro percorso, qualche obiettivo “sensibile”? Potevano mettere a rischio la sicurezza dei cittadini? Pare proprio di no. E allora, per quale motivo il Ministro Piantedosi ha lasciato che i celerini caricassero indiscriminatamente e brutalmente degli studenti – dei ragazzi per la precisione – che avanzavano in modo ordinato e tranquillo, con le braccia alzate a riprova della loro mitezza?
Volevano raggiungere una piazza che, essendo la sede di una delle Università più prestigiose d’Italia, la “Normale” di Pisa, era il luogo più adatto ad accogliere, come un ideale Agorà, gli studenti che volevano pacificamente gridare il loro sdegno per il massacro del popolo palestinese. Un massacro che tutto il mondo vorrebbe fermare.
Piantedosi si guardi allo specchio
Piantedosi è meno capace dei Ministri dell’interno degli anni ’70? Può essere, dato che si trattava di persone del calibro di Restivo, Rumor, Taviani e Cossiga. Il confronto perdente sarebbe dunque accettabile. Ma ciò che molti temono è che egli sia, invece, molto più autoritario e reazionario di loro e questo sarebbe molto meno accettabile.
Perché loro, che pure facevano attenzione a dosare le manganellate della polizia, avevano almeno la giustificazione, insufficiente ad assolverli, di dover fronteggiare il terrorismo dei NAR e delle BR e non la pacifica passeggiata di un gruppetto di giovani studenti, che volevano solo protestare contro lo sterminio del popolo di Gaza. In ognuno dei due casi il Ministro farebbe bene a guardarsi allo specchio e valutare se non sia il caso di lasciare la sua poltrona a qualcuno più adatto di lui.