La salvezza che proviene dal passato. Ebraismo e tradizione
La Bibbia non ispira più soltanto il credente e l’uomo di fede, ma anche il non credente, il laico, l’ateo
(Daniele Lorusso)
La cultura europea e occidentale ha una duplice origine, una doppia scaturigine: la cultura classica, greco-romana e la cultura biblica, ebraico-cristiana. Di queste due grandi linee, di questi fiumi immensi, la filosofia, la religione, l’arte, la letteratura, la storia dell’Occidente sono state nutrite, alimentate, pervase, inondate. Allo stesso modo in cui, in altre parti del mondo, è avvenuto con l’Islam, con le religioni dell’Oriente, con le culture del Nord e del Sud dell’America.
Ma ciò che rende tutto più intrigante, enigmatico, a tratti drammatico è che il ruolo dell’Occidente è stato, nella storia umana degli ultimi due millenni e mezzo, molte volte preponderante, a tratti sfacciatamente e ingiustamente dominante. Non solo, ma la odierna globalizzazione – che viaggia sui binari del finanz-capitalismo (per usare un’espressione cara al compianto Luciano Gallino), di internet e dei social network – reca sul volto il vessillo degli Stati Uniti d’America, con quanto di bene e di male ciò può comportare.
Ecco perché scavare nei sentieri e nei misteri dell’Europa, del suo passato multiforme e ricchissimo, continua a essere un compito di bruciante vitalità anche per il nostro presente e per il modo in cui decideremo di progettare e costruire il nostro futuro.
Poiché, a nostro modesto avviso, una cosa è chiarissima: nonostante gli alfieri del neo-liberismo e delle nuove tecnologie, senza umanesimo, senza poesia, senza pensiero filosofico – nonché senza solidarietà ed ecologia – l’umanità del domani non avrà un grande futuro, anzi è possibile affermare che non ne avrà nessuno…
I quattro volti dell’origine
Questa duplice origine è formata, come abbiamo visto, da due coppie: il ceppo ebraico-cristiano e quello greco-romano. Quindi da quattro elementi: ebraismo, cristianesimo, cultura greca e cultura latina. Su ognuno di questi ambiti, esistono biblioteche intere. Se si considerano tanto i classici, quanto i commenti e le monografie degli studiosi. Si aggiungano Medio Evo e Rinascimento e avremo completato per tre quarti l’intera cultura dell’Occidente europeo.
Ma, spesso, le monografie degli specialisti, molte volte accademici, sono aride, noiose, prive di palpiti e voli dell’anima. Viceversa, anche in Italia, ci sono stati studiosi e intellettuali, in grado di conferire a questi temi le caratteristiche di autentiche avventure intellettuali. Tra le figure scomparse in tempi recenti, vale la pena di ricordare Umberto Eco, Guido Ceronetti, Emanuele Severino e Roberto Calasso.
Calasso si è spento alla fine di luglio del 2021. Nell’ambito di un modo, a nostro avviso straordinario (Calasso non è mai stato un accademico), di fare ricerca, egli ha navigato controcorrente nel vasto mare dei miti, delle culture tradizionali, dell’antropologia, della storia delle religioni, della filosofia, della storia della letteratura europea.
I suoi contributi sono imponenti e straordinari volumi, per un numero complessivo di undici, almeno per quanto riguarda l’opera principale.
Ad essa, per lo meno ufficialmente, Calasso non ha attribuito un nome complessivo ed unitario. Si va dalla contemporaneità, al mito greco (l’ormai celebre “Le nozze di Cadmo e Armonia”, nonché “Il Cacciatore Celeste”), all’India (“Ka” e “L’ardore”), a Kafka, Tiepolo e Baudelaire, all’ebraismo, ad altre tradizioni mitologiche (“La Tavoletta dei Destini”).
Quest’opera in undici volumi senza un nome complessivo che la possa connotare (almeno per ora), oltre agli altri libri dell’autore, è interamente pubblicata da Adelphi, la casa editrice cui Calasso ha consacrato l’esistenza, portando quel marchio ad essere uno dei più importanti dell’editoria italiana contemporanea.
L’aria dei patriarchi
Tornando al filo principale del nostro ragionamento, vale la pena, allora, di soffermarsi sul decimo volume dell’opera di Calasso. Esso si intitola “Il libro di tutti i libri”, ha per tema l’antico ebraismo ed è stato pubblicato da Adelphi nel 2019.
Si accennava alla capacità di Calasso di scrivere in modo enigmatico, mistico, sognante, senza cedere molto sul piano della precisione critica e scientifica. Non si tratta di un Dan Brown e nemmeno di un V. Massimo Manfredi, per intenderci. “Le nozze di Cadmo e Armonia” o “Ka”, ad esempio, sono splendide trattazioni complessive della cultura greca e indiana. Analogo discorso può essere fatto per “Il libro di tutti i libri”.
Ovviamente, sarebbe impensabile trattare l’ebraismo tout court, come tema di un singolo libro. In più, Calasso ha la passione dell’origine e delle radici. Dunque, l’ebraismo qui preso in considerazione è quello della Bibbia, dell’Antico Testamento. Era il tema di Guido Ceronetti che, per Adelphi, ha tradotto Giobbe, il Cantico dei Cantici, Isaia, i Salmi, l’Ecclesiaste, con esaustivi e stupendi commenti.
Poiché, ci dicono questi autori, l’antica Sapienza non è solo di matrice greca, come volevano Nietzsche, Heidegger, Colli e Severino, ma anche di matrice biblica. Intelligenze femminili profonde e radicali come quelle di Hannah Arendt e Simone Weil lo sapevano. Lo stesso può essere detto di Goethe prima di loro, con cui Calasso, nel suo libro, dialoga spesso. Più forte ancora la presenza dell’ultimo Freud, autore di “L’uomo Mosè e la religione monoteistica” del 1939, cui è dedicato l’intero VIII capitolo.
In fondo, ne abbiamo conferma da una città come Gerusalemme. Opposto speculare di Atene, essa ha la capacità di far sussultare e sconvolgere l’anima, come solo possono fare i luoghi della storia umana, che sono stati teatro di una Sapienza millenaria. Certo, bisogna sgombrare la mente da tutto ciò che riguarda l’attualità e il passato prossimo, la fondazione dello Stato d’Israele, la questione palestinese, la morte di Rabin, la necessità della pace.
Ma che cos’è lo studio della tradizione, se non appunto un’operazione di liberazione della mente? Affinché alcuni contenuti di natura semplice, eppure immensi, eppure fondamentali, possano raggiungerci? La scrittura di Calasso – sulla scia dell’amico di Montale, Roberto Bazlen – è stata innanzitutto una scuola di liberazione. Dalle cattive incrostazioni dell’ideologia, innanzitutto. Affinché le fatue menti occidentali del presente, le nostre, facciano spazio a pochi gesti, a poche parole, sempre quelli, veicolo dell’Essenziale.
Il respiro della tradizione
Nel corso degli ultimi decenni, un filosofo come Jürgen Habermas si è occupato, in modo approfondito, del problema relativo ai rapporti “tra scienza e fede” e di come si possa parlare di un “lascito religioso della filosofia”, come suonano il titolo di un suo libro del 2005 e il sottotitolo di una sua opera del 2012 (entrambi pubblicati, in italiano, da Laterza). “Il libro di tutti i libri” di Calasso ne è la dimostrazione.
L’Antico Testamento, la Bibbia più in generale, non ispira più soltanto il credente e l’uomo di fede, ma anche il non credente, il laico, l’ateo. Come bacino di senso e tesoro intatto di una Sapienza antichissima, particolarmente sul piano etico, esso riguarda ogni uomo che voglia pensarsi come tale…