La scuola del mondo: Leonardo e Michelangelo
Ognuno a suo modo furono, entrambi, due forme totali del genio
La ricchezza artistica – pittorica, scultoria, architettonica, letteraria, speculativa – dell’Italia, è un fattore molto noto a chiunque, che non per questo deve esimere ciascuno di noi dal dovere – e dal piacere – della riscoperta, dell’approfondimento e della ricerca. Il culmine del miracolo e della meraviglia coincidono, con una buona dose di approssimazione, con l’Umanesimo e il Rinascimento.
Ossia con quel periodo che può essere fatto cominciare con la morte di Petrarca, nel 1374, e che può considerarsi concluso con la morte di Giordano Bruno. Arso vivo in Campo de’ Fiori il 17 febbraio 1600.
Un genitore eccellente
Con molta appropriatezza, Giosuè Carducci definì Petrarca il “padre del Rinascimento”. Eppure non sembrerà incongruo affermare che il massimo livello espressivo, durante l’epoca rinascimentale, non va assegnato alla letteratura e al pensiero, ma alle arti figurative.
Consegnato Dante alla conclusione e al massimo compimento della civiltà medievale – nella misura in cui queste schematizzazioni storiche hanno un senso – è possibile affermare che difficilmente Petrarca, Ficino, Pico della Mirandola e Poliziano arrivano al livello di Leonardo, Michelangelo e Raffaello.
Forse solo Machiavelli e Bruno, in quanto pensatori epocali, rappresentano un vertice analogo della civiltà rinascimentale.
Il talento cresce
Tutto prese uno sviluppo rigoglioso, a Firenze, con Cosimo il Vecchio, il primo grande della famiglia Medici, nonno di Lorenzo il Magnifico che, anche sul piano spirituale, diede l’impulso decisivo. Ossia commissionò a Marsilio Ficino la traduzione di Platone e di Plotino, foraggiando ampiamente il pensatore perché potesse portare a termine la sua impresa.
Dal punto di vista del realismo politico, Cosimo fu un maestro, probabilmente superiore ai suoi discendenti. Il Machiavelli delle “Istorie fiorentine” ci consegna una frase di Cosimo, che anticipa il “Principe” dello stesso Niccolò. “Cosimo rispose…che gli stati non si tenevono co’ paternostri in mano” (VII, 6): per ovvie ragioni, Machiavelli era ghiotto di questi bocconi succulenti.
Chi, oggi, si trovi a visitare la Basilica di S. Lorenzo a Firenze, può trovarvi un concentrato di spirito mediceo e rinascimentale.
A Firenze (nel Quattrocento)
Nella Basilica si trova la tomba di Cosimo il Vecchio, il Pater Patriae, realizzata da Andrea del Verrocchio. Forse ai meno esperti questo nome non vorrà dire molto, ma nella bottega del Verrocchio si formò Leonardo da Vinci. Verrocchio insegnò molte cose al genio di Leonardo e molte cose il suo grande talento artistico realizzò in proprio.
Il lavoro di Verrocchio è supremo. Il patriarca Cosimo riposa sotto il pavimento della chiesa, con un lavoro decorativo grandioso sul luogo della sepoltura – ciò per quanto concerne la parte soprastante dell’opera. Al piano sottostante, è possibile vedere il pilastro decorato dal Verrocchio, che contiene il corpo del patriarca Medici.
Lì accanto è sepolto il grande Donatello. Il quale, tra le altre cose, realizzò, insieme al Brunelleschi, la Sagrestia vecchia, sempre all’interno della Basilica di S. Lorenzo.
A Firenze (nel Cinquecento)
Nell’altra area dello stesso complesso monumentale, è possibile osservare la risposta che il grande Cinquecento diede ad un altrettanto grande Quattrocento. La Sagrestia nuova e le Cappelle medicee, con le statue scolpite da Michelangelo, per le tombe di Lorenzo il Magnifico e del fratello Giuliano, ucciso nella congiura dei Pazzi nel 1478, di Giuliano duca di Nemours e di Lorenzo duca di Urbino – il dedicatario del “Principe” di Machiavelli! – danno una congrua idea del sacrario dei Medici.
Nella piazza, la statua dedicata a Giovanni dalle Bande Nere aggiunge la famosa ciliegina sulla torta. Giovanni fu il principale soldato della Lega di Cognac, morto valorosamente. Poi fu, anche, il padre di Cosimo I granduca di Toscana (circa un secolo dopo Cosimo il Vecchio), con il quale la grandezza artistica, spirituale e politica di Firenze – e dell’Italia – andò spegnendosi.
L’altezza del frutto
Provando a fare un po’ di chiarezza in questa selva di nomi, avvenimenti, opere, pensieri, due opere ci hanno fornito un discreto aiuto. Il lavoro di Antonio Forcellino, “Leonardo. Genio senza pace” (Laterza) del 2016 e quello di Giulio Busi, “Michelangelo. Mito e solitudine del Rinascimento” (Mondadori) del 2017.
Entrambi autori di numerose opere su temi connessi, Forcellino e Busi sono, entrambi, ricercatori solidi, seri, capaci di parlare al grande pubblico, pur nell’ambito di un buon rigore specialistico.
I due maestri fiorentini offrono, al curioso e al ricercatore, un quadro ermeneutico complesso, multiforme, grandioso. Ognuno a suo modo furono, entrambi, due forme totali del genio. Leonardo era lentissimo nella realizzazione dei suoi dipinti, innamorato della luce e del chiaroscuro, dava il meglio di sé nell’impostazione di un’opera. Ma perdeva rapidamente interesse nella realizzazione della stessa.
Ad interessarlo, veramente, era la costruzione di un sapere filosofico-scientifico. Michelangelo era avido, tumultuoso, irascibile. Scultore prestato alla pittura e, poi, all’architettura, quando la cosa lo richiedeva. Busi ce lo mostra opportunista in politica. Ardente repubblicano, pronto però a ritornare sui suoi passi, quando all’orizzonte comparivano i Medici e il Papa, ossia i committenti dei suoi lavori.
La scuola del mondo
Probabilmente, ci fu Niccolò Machiavelli e il suo genio sottile, dietro alla più grande commissione artistica del Rinascimento fiorentino. Nel 1504, la Repubblica di Firenze retta da Pier Soderini – nella quale Machiavelli era segretario della seconda Cancelleria – commissionò a Leonardo e Michelangelo la decorazione del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio.
Leonardo doveva dipingere la “Battaglia di Anghiari” e Michelangelo la “Battaglia di Cascina”. Entrambi i temi dovevano celebrare la grandezza militare fiorentina. Ma sia Leonardo che Michelangelo, non portarono a termine i dipinti, di cui possiamo farci un’idea solo attraverso schizzi preparatori e copie di altri pittori.
Racconta Giulio Carlo Argan, nel volume dedicato al Rinascimento della sua celebre “Storia dell’arte italiana” (Sansoni), una battuta di Benvenuto Cellini, che disse che finché fu possibile vederli, i due cartoni furono la scuola del mondo. Ecco, condensata nella singola affermazione di uno che certe cose le sapeva e le capiva, la misura del valore di Leonardo e Michelangelo.
(Questo testo è già apparso all’interno del mio volume “Il pensiero filosofico nell’epoca di Internet. La cultura umanistica al tempo della globalizzazione”, Gangemi, Roma 2023, pp. 81-82)