La scuola riparte come parcheggio per bambini e i docenti sempre più sviliti
Nessuno accenna alla funzione principale per la scuola. La trasmissione delle conoscenze e della cultura con i valori connessi
Dopo la chiusura dovuta al lockdown, il Governo ha riaperto la scuola come stabilito. Assieme ai tanti problemi logistici, risaltano quelli della sua funzione istituzionale e della qualità dell’istruzione. Il Governo e il Ministero dell’Istruzione hanno voluto mantenere l’impegno preso mesi fa rispetto alla data fissata per l’inizio dell’anno scolastico. Solo qualche regione e gli istituti dove si sono tenute le votazioni hanno rinviato l’apertura.
La scuola perciò è ripartita, con tutte le carenze che aveva prima della pandemia, amplificate dalle esigenze di sicurezza che l’infezione Covid impone. Mancanza di aule e spazi, carenza di docenti e di personale amministrativo ed ausiliario. Molte scuole dell’infanzia non hanno la mensa. In moltissime scuole medie di primo e secondo grado gli studenti hanno lezione per due-tre ore o per pochi giorni, e via dicendo.
Si potrebbe dire: Grande è il disordine sotto il cielo, la situazione è perciò molto preoccupante.
La scuola come servizio sociale
Ma perché si è voluto ripartire ostinatamente alla data prefissata, prima di aver almeno risolto qualcuno dei tanti problemi sul tappeto?
C’è stato un coro quasi unanime che ha affermato l’importanza centrale della scuola per la collettività e che la validità dell’azione di contrasto alla pandemia si sarebbe misurata soprattutto affrontando il problema della scuola. Imprenditori ed economisti sostenevano la necessità della ripresa scolastica, oltre quella economica. Così anche i sindacati, che in più chiedevano maggiori garanzie per i lavoratori.
Mi sembra (non sarò l’unico, credo) che non si sia mai manifestato un interesse così universale per la scuola da molti anni a questa parte, e da così tanti e diversi soggetti.
Per il Governo si trattava di garantire un servizio sociale ai cittadini; così pure per i politici, sia di maggioranza che di opposizione. Ciascuna parte ha dato il suo contributo di appoggio o di critica, il più delle volte per mettersi in mostra, come nei talk show.
Gli imprenditori, tranne qualche grande gruppo come la Fiat, non si sono mai molto occupati della scuola. Si limitavano a scegliere i diplomati ed i laureati (pochi) per poi formarli in azienda secondo le loro necessità, ritenendo inadeguata la preparazione scolastica.
Le scuole professionali
Oggi però bisogna tener conto dell’attenzione rivolta alle scuole professionali, finanziate con il denaro pubblico, di cui le Regioni rivendicano la gestione esclusiva. Soprattutto al Nord, dove l’interesse politico coincide con quello della piccola e media imprenditoria. Ricordiamo che più esponenti della Lega, tra cui Luca Zaia, si sono vantati del miglior funzionamento delle loro scuole.
Il sindacato, dovendo favorire le possibilità di istruzione e lavoro dei cittadini, è anch’esso schierato su questa linea, magari aggiungendo richieste di trasparenza e uguali possibilità per tutti.
A livello generale inoltre l’interesse economico è incrementato in prima istanza dalla necessità edilizia: occorrono più aule per garantire il distanziamento, perciò bisogna costruire nuove scuole o ristrutturare edifici privati o pubblici. Inoltre, servono più materiali didattici, dai banchi ai devices digitali, e servizi, come mense e trasporti. Ce n’è in abbondanza per il business. Questo per tutto ciò che costituisce le basi materiali della scuola.
Stato dell’istruzione e considerazione dei docenti
Passando alla componente umana senza cui una scuola non esiste, cioè l’insegnante, l’effetto del Covid è quello di aumentare di molto la carenza dell’organico docente. Questo è un problema cronico di ogni inizio di anno scolastico. Ma stavolta si proietta sull’intera durata di esso.
Infatti, per garantire il distanziamento sociale, occorre ridurre il numero di alunni per classe e perciò occorrono più insegnanti (e più aule, l’abbiamo detto).
Non si capisce quindi l’ostinazione del ministero di voler effettuare un grande concorso per l’immissione in ruolo di docenti, proprio all’inizio dell’anno scolastico. Conoscendo quanto lavoro ci voglia per preparare i concorsi e il tempo che impiega il loro svolgimento, si può prevedere, nell’ipotesi più ottimistica, che i docenti arrivino sulle classi verso la metà dell’anno.
Chi sostiene che il personale docente debba essere (giustamente) qualificato, e afferma che dall’altra parte si vorrebbe approfittare dell’emergenza per attuare l’ennesima sanatoria, dimentica o tace un dato di fatto rilevante. E cioè che la stragrande maggioranza degli insegnanti residenti sulle graduatorie delle varie fasce sono abilitati da precedenti concorsi. Insegnano da molti anni come precari, avendo così acquisito esperienza.
La professione dell’insegnante e sue caratteristiche
A questo punto si dovrebbe discutere sul concetto di professionalità.
Essa è composta certo di conoscenza, competenza e capacità personali. La conoscenza si acquisisce nel corso degli studi. La competenza, si direbbe la bravura, con la pratica del lavoro e si raffina con questa. Inoltre, c’è un altro elemento importante, di solito sottinteso. All’inizio della propria carriera, ogni laureato cerca di imitare il metodo degli insegnanti migliori che ha incontrato durante la sua formazione. Ciò è particolarmente vero per chi si dedica all’insegnamento, che in questo senso parte con un certo vantaggio.
Gli esami che si sostengono dopo la laurea: esame di stato per avvocati, medici, ingegneri; il concorso per gli insegnanti, servono a certificare le conoscenze e le capacità di base e danno l’abilitazione all’esercizio della professione.
Per tutti, tranne i docenti, sono anche il tramite per l’iscrizione ad un albo professionale che fa parte di un Ordine, il quale gestisce i corsi di aggiornamento e gli avanzamenti di carriera.
Per i docenti invece storicamente è stato fatto un discorso molto diverso
Fino a circa metà anni ’70 c’era soltanto il Concorso di stato. Poi, in concomitanza con la massificazione della scuola media di primo e secondo grado, si è affermato che questo accerta le conoscenze, ma non le competenze.
Cioè, un neolaureato non avrebbe la minima capacità di insegnare. La laurea di per sé non è sufficiente. Pertanto è necessario che gli aspiranti all’insegnamento seguano tutti quei corsi sulla metodologia predisposti dagli esperti pedagogisti del MIUR.
Così ha avuto origine la genia delle SSIS (scuola di specializzazione all’insegnamento secondario), dei CFU ( credito formativo universitario) e TFA (tirocinio formativo attivo). Corsi, titoli e prove che rilasciano l’abilitazione o comunque consentono l’iscrizione alle graduatorie di istituto. Da cui le scuole possono attingere per l’assegnazione di supplenze o incarichi a tempo indeterminato.
Il risultato pratico è che la maggioranza degli iscritti, pur lavorando, rimane precario.
Corruzione dell’istruzione
Risultato di una politica pluridecennale di svilimento della funzione docente, portata avanti proprio dall’area politica di sinistra. I cui pedagogisti, per combattere l’abbandono scolastico hanno concepito la semplificazione e l’uniformità della didattica, svuotando le materie ( da loro definite discipline) dei contenuti essenziali.
Il metodo didattico che hanno imposto agli insegnanti è quello del recupero-farsa, simile all’aiutino televisivo, per cui tutti devono arrivare allo stesso traguardo, ovviamente il più piatto possibile.
A tutto questo, incentivata dai trattati europei, si è aggiunta la valutazione statistica esterna dell’INVALSI, che regolarmente certifica l’ignoranza degli studenti e ne addebita la colpa alla categoria docente.
Un servizio sociale per i cittadini
Come detto all’inizio, il Governo ci teneva a riaprire la scuola soprattutto come servizio sociale per i cittadini. Cioè, in sostanza, come parcheggio in cui tenere i bambini per liberare le famiglie dal compito dell’assistenza, consentendo così ai genitori di andare al lavoro.
Tutti, dai ragazzi ai politici al Ministro dell’Istruzione, reclamavano la necessità del ritorno a scuola per recuperare la socialità mancata con il lockdown.
Nessuno accenna minimamente alla funzione che dovrebbe essere quella principale per la scuola. La trasmissione delle conoscenze e della cultura con i valori connessi, da cui la formazione e l’educazione dei cittadini con lo studio serio e rigoroso.
Se veramente la volontà generale fosse quella di mantenere la scuola come kindergarten, allora si abbia il coraggio di riportare l’obbligo scolastico ai dieci anni. Si abolisca tutto il ciclo successivo fino all’università, se non serve a fornire una preparazione solida prima della sua frequentazione.
Del resto, i fautori ad oltranza dell’e.learning sostengono che ogni individuo, sapendo appena leggere e scrivere, può costruirsi un bagaglio culturale da solo con il software adeguato.
Inoltre, ci sarebbe un bel risparmio per lo Stato; salvo verificare poi dove andrebbe a finire.
Una proposta per la rinascita
Se invece pensiamo che nel processo del’istruzione servano i libri, il software, i nuovi devices da usare con oculatezza. Ma soprattutto che sia centrale l’insegnante, la persona preparata e competente nella trasmissione del sapere, dobbiamo con forza rivendicare l’autonomia della sua figura.
Ciò si potrebbe ottenere con l’istituzione di un Ordine nazionale della categoria, indipendente dalle forze politiche e sindacali, articolato per regioni con appositi albi per l’iscrizione.
Dovrebbe essere indipendente anche dal Ministero, sempre strumentalizzato dalle varie parti politiche al governo.
Tra i suoi compiti, l’elaborazione dei programmi di studio di validità generale, con possibilità di articolazione secondo necessità locali che non stravolgano l’impianto complessivo, approvati dal ministero.
A questo spetterebbe ovviamente ogni decisione sulla gestione della scuola, dall’edilizia ai servizi e all’assunzione del personale amministrativo e docente.
L’Ordine però dovrebbe gestire auotnomamente la formazione e l’aggiornamento degli insegnanti, in modo simile a quanto fanno gli altri ordini professionali.
Alla base della sua costituzione, la promozione e il rinnovamento della Cultura e la sua difesa, anche nella figura dei professionisti che la trasmettono.
Restituendo così valore al dettato costituzionale: libera è la cultura e libero ne è l’insegnamento.
Occorrerebbe però aprire e alimentare un ampio dibattito.
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