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La sfida dei partiti alle europee e la riforma della Costituzione

Da più di un anno si parla di riformare la nostra Costituzione e ora è aumentato il pressing dei partiti che la propongono

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Il mese di maggio è trascorso con la propaganda elettorale dei partiti per il rinnovo del Parlamento europeo e con i dibattiti sul cambiamento di alcuni istituti fondamentali della nostra Costituzione.

Su quest’ultimo tema, molto delicato, ci sono stati i contrapposti pronunciamenti delle varie forze, di maggioranza e opposizione, con toni molto accesi e anche una forma di duelli a distanza, non essendo stato possibile svolgere un dibattito all’americana.

Il Presidente del Consiglio Meloni ha affermato la netta volontà, sua e delle forze che la sostengono, come Forza Italia e Lega, di aumentare i poteri del Primo Ministro nei confronti del Parlamento e del Presidente della Repubblica. La segretaria del PD, Elly Schlein, ha accusato l’avversaria di volontà autoritaria, addirittura fascista; inoltre, di trascurare i gravi problemi sociali, focalizzando l’azione politica sulle cosiddette riforme costituzionali.

Chiarimenti sul significato delle riforme che si vorrebbero e precedenti tentativi

Però, se consideriamo la storia recente, si può constatare che il tema del Premierato, così come quello dei rapporti tra Governo e Parlamento da una parte e del Parlamento con la Magistratura dall’altra, sono argomenti che hanno interessato in modo trasversale tutti i governi precedenti e tutti gli schieramenti politici.

Anzi, si può dire che già dopo l’approvazione della nostra Costituzione dopo la caduta del regime fascista, abbiano avuto inizio varie manovre di cambiamento, magari con la motivazione di definire meglio alcuni articoli di essa.

Il fenomeno si è rafforzato dopo la riforma del sistema elettorale in forma maggioritaria avvenuta con il referendum del 1991 promosso da Mariotto Segni e Gianfranco Fini.

La Commissione Bicamerale per le riforme voluta dal governo di Massimo D’Alema nel 1997-’98 chiamò Premierato la proposta della “bozza Salvi”. Questa prevedeva l’elezione diretta del Primo Ministro, con il potere di nominare e revocare i ministri del proprio governo, che il Presidente della Repubblica doveva accettare; il Premier aveva inoltre un rapporto fiduciario con la sola Camera dei Deputati e facoltà di scioglierla in caso di sfiducia.

Da Berlusconi a Meloni

Il progetto di riforma del governo Berlusconi per la “Casa delle Libertà” nel 2006 prevedeva un ampliamento dei poteri del Premier. Infine, nel novembre 2023 il Governo Meloni ha approvato il Ddl 935 presentato dalla stessa Meloni insieme al ministro per le Riforme Istituzionali, M. Elisabetta Alberti Casellati.

Vengono modificati gli Artt. 59, 88, 92 e 94 della Costituzione; in particolare, il nuovo art. 92 recita:

«Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. Le votazioni per l’elezione delle due Camere e del Presidente del Consiglio avvengono contestualmente. La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i princìpi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio, assegnato su base nazionale, garantisca il 55 per cento dei seggi in ciascuna delle due Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio dei ministri. Il Presidente del Consiglio dei ministri è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura. Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i ministri stessi».

Si avrà davvero stabilità?

Come si rileva facilmente, l’istituzione del Premierato è stata ricercata e sponsorizzata da tutte le forze politiche, sia a destra che a sinistra; ora, per opera della destra si avvia a diventare realtà.

La motivazione da tutti addotta a favore della scelta di tale istituto è che per mezzo di esso si avranno governi più stabili, in grado di fare gli interessi dei cittadini: il Premier è eletto direttamente da essi e responsabile nei loro confronti.

Osserviamo però che la votazione è vincolata alla preventiva scelta del nome che il partito della coalizione impone come capolista, sempre il suo segretario ( Meloni, FdI; la Schlein, PD ).

L’origine democratica delle strutture di governo. La forma Inglese e la sua storia, che avrebbe molto da insegnarci

Ciò che non accade per esempio nell’elezione del Premier inglese. Nel Regno Unito, la forma di governo democratica parlamentare è ispirata al sistema ( o modello ) Westminster, risultato di una plurisecolare evoluzione storica.

Questo sistema politico è esteso anche agli altri grandi stati che fanno parte del CommonWealth : India, Australia, Canada, Irlanda.

Il Parlamento, luogo della sovranità popolare democratica è diviso in due Camere: quella dei Comuni ha il compito di proporre o approvare le leggi, mentre quella dei Lords ha quello del controllo della correttezza costituzionale delle leggi stesse.

La caratteristica fondamentale del Governo è la sua responsabilità verso il Parlamento (responsible party government). Il Primo ministro è scelto dal Partito che ha ricevuto la maggioranza; egli dirige sì il governo stesso, ma non in modo assoluto; può essere sfiduciato in parlamento, nel qual caso può essere sostituito da un altro membro del governo, oppure si scioglie il Parlamento stesso e si va a nuove elezioni.

Pertanto, si può definire come un sistema maggioritario bipartitico, che garantisce l’indipendenza reciproca tra il potere legislativo e l’esecutivo; inoltre, non c’è nessuna invadenza nei confronti della Magistratura, della quale si ha un’alta considerazione.

Tutto ciò, sottolineiamo, è il frutto di una lunga storia: ricordiamo che agli inizi dell’anno mille un Re inglese sottoscrisse la Magna Charta, la prima Costituzione che riconosceva la sovranità popolare e l’indipendenza del Parlamento dalla Corona e i diritti fondamentali dei cittadini.

La sovranità popolare sarà distrutta dall’approvazione della legge 395

Nel caso dell’Italia invece, la Costituzione repubblicana venne scritta dopo l’uscita dalla dittatura fascista, cento anni dopo la prima costituzione emanata dal governo piemontese del Regno di Sardegna, sull’onda dei primi moti risorgimentali.

Quindi noi italiani abbiamo un’esperienza storica troppo breve della democrazia, che perciò non abbiamo assimilato. Né abbiamo sviluppato un senso di solidarietà civile e di unità nazionale come i popoli inglese e francese; anzi, siamo stati per secoli abituati al servilismo verso il potente locale.

Ed è su queste nostre caratteristiche che fa leva la volontà di comando della nuova destra, criticata malamente e per niente ostacolata dalla vecchia sinistra.

Se sarà approvata definitivamente la legge sul Premierato nella forma scritta nel Ddl 395 avremo un Governo al di sopra del Parlamento e indipendente dal Presidente della Repubblica, ridotto al ruolo del notaio che deve controfirmarne gli atti.

Anche lo scioglimento delle Camere in caso di crisi avverrà per volontà del governo

Se poi sarà approvato, come sembra molto probabile, il progetto di riforma della Magistratura con la separazione delle carriere e la divisione in due dell’attuale Consiglio Superiore di essa, il risultato sarà la subordinazione del potere giudiziario a quello esecutivo.

In definitiva chi avrà le redini del governo, Meloni o altri, governerà legibus solutus, soddisfacendo i propri desideri e quelli delle sue basi sociali di riferimento, non certo le esigenze vitali dei cittadini, soprattutto dei meno abbienti.

A questi non resterà altro ruolo che quello di approvare un governo già preconfezionato nella lista di coalizione che otterrà la vittoria elettorale; agli eletti poi non interesserà il fatto che aumenterà l’astensionismo, anzi.

L’unica speranza che ci resterebbe sarebbe quella di andare al referendum abrogativo.

Ma perché ciò avvenga dobbiamo auspicare che la legge non sia approvata con la maggioranza dei due terzi del Parlamento, nel qual caso non è possibile richiedere referendum.

Non resterebbe allora altra via che quella della disobbedienza civile: incrementare al massimo il dibattito sugli effetti nefasti del Premierato, per far cadere la legge.

Ma per agire così, da cittadini consapevoli dei propri diritti, dovremmo forzare molto le nostre consuetudini storiche di cui abbiamo accennato sopra.