La sfida della perfezione: Rilke scrittore di lettere
Rilke è un Michelangelo contemporaneo che scrive, invece di dipingere, la sua Cappella Sistina e il suo Giudizio Universale
L’Ottocento europeo ha brillato, nell’empireo della poesia, attraverso nomi indimenticabili. Goethe e Hölderlin per la lirica tedesca. Byron e i romantici per quella inglese. Leopardi per la poesia italiana. Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, Mallarmé per quella francese.
E il Novecento? Anche nel secolo scorso la tradizione lirica dell’Occidente ha prodotto poeti degni dell’immortalità. Tra i moltissimi, credo che la palma vada assegnata a Rainer Maria Rilke, Thomas Stearns Eliot e al nostro Eugenio Montale.
Nell’ambito di questi tre autori cruciali, di questi poeti totali, a nostro avviso, Rilke (1875-1926), praghese di lingua tedesca, è stato capace di liberare livelli di altezza espressiva di caratura universale, degni dei suoi predecessori Goethe e Hölderlin.
Tra forma e caos
Se in Goethe domina sovrano l’equilibrio e in Hölderlin la follia, è possibile affermare che, in Rilke, ci sia la compresenza di entrambi gli elementi. Dipende anche dalle singole opere che si intendono considerare.
Sebbene la produzione rilkiana sia molto precoce, è possibile affermare che la stagione della grandezza esploda per lui con le “Nuove poesie” e i “Requiem”, intorno al 1907-08. Il Requiem “Per il Conte Wolf von Kalckreuth”, giovane poeta morto suicida, è un inno alla vita, a quella capacità di resistenza individuale attraverso cui la tendenza al suicidio può essere sconfitta.
Memore della lezione di Tolstoj e Rodin, della vicinanza di Lou Salomé e di Clara Westhoff, la prima grande stagione della poesia di Rilke è una lezione di forma, che si impone sul caos dell’esistenza.
Il monaco dell’assoluto
Ma il caos è dietro l’angolo, pronto a esplodere in tutta la sua virulenza, complice Parigi. Senza questa stagione di affermazione del caos, l’ultimo grande Rilke – quello delle “Elegie duinesi” e dei “Sonetti a Orfeo” – sarebbe impensabile. La grande crisi rilkiana è testimoniata da “I quaderni di Malte Laurids Brigge” (1910). Si tratta di un altro capolavoro, naturalmente. La testimonianza di una crisi individuale, generale, di civiltà. Uno dei primi grandi libri del secolo scorso, particolarmente in lingua tedesca, insieme ai “Buddenbrook” (1901) di Thomas Mann.
La crisi è poi superata nelle tarde opere intitolate “Elegie duinesi” e “Sonetti a Orfeo”. Si tratta di gemme di lirica purissima. Qui l’equilibrio tra forma e caos è ristabilito e la sintesi armonica dell’arte di Rilke è assoluta, perfetta. Rilke è un Michelangelo contemporaneo che scrive, invece di dipingere, la sua Cappella Sistina e il suo Giudizio Universale.
Questa stagione matura della sua poesia ha impegnato generazioni di critici, tra gli altri Martin Heidegger che gli dedicherà un grande saggio di interpretazione filosofica, intitolato “Perché i poeti?” e contenuto in “Sentieri interrotti” del 1950. Lo seguiranno filosofi ed esegeti del calibro di Hannah Arendt e Peter Szondi. In Italia, tra le sapienti mani di Giaime Pintor, Rilke diventò un poeta della resistenza attiva, prima che il giovane e talentuoso critico perisse sotto il fuoco dell’azione.
Dietro le quinte
Niente come le parole stesse di un autore, sono in grado di illuminare la sua opera. Senza le “Massime e riflessioni” di Goethe, conosceremmo molto meno del suo autore. Senza lo “Zibaldone”, non comprenderemmo Leopardi allo stesso modo. Senza “Ecce homo”, Nietzsche sarebbe molto più oscuro.
Per Rilke è possibile fare lo stesso discorso. In questo caso, il libro è “Lettere a un giovane poeta” (ed. it. Adelphi), con l’aggiunta delle “Lettere a una giovane signora” e “Su Dio”, nella classica traduzione di Leone Traverso del 1958. (Leone Traverso fu, insieme a Vincenzo Errante, tra i primi germanisti italiani, ad occuparsi in profondità dell’opera di Rilke. Fu legato a Cristina Campo, geniale figura della mistica contemporanea italiana). L’arco temporale e cronologico di questi testi epistolari di Rilke, attraversa tutta la fase matura della produzione del poeta, fino alla prematura scomparsa di Rilke, a cinquantun anni, per leucemia.
“Canto è esistenza”, dice il terzo dei “Sonetti a Orfeo”. Il miracolo del grande poeta – e Rilke lo era certamente – consiste nel fatto, che anche gli scritti in prosa vivono della tensione lirica ed espressiva, che informa la poesia. Queste lettere, stese nell’arco di quasi un quarto di secolo, ne sono la dimostrazione…