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La storia come incubo: un romanzo di Philip Roth

“Pastorale americana” è uno di quei libri, rari e preziosi, che ti cambiano la vita…

Philip Roth

Philip Roth

Per diversi decenni, fino alla sua morte sopraggiunta nel 2018, Philip Roth ha rappresentato la migliore tradizione del romanzo americano. Il suo sguardo lucido, duro, complesso ha dato vita a un’opera come “Pastorale americana” (ed. it. Einaudi) del 1997, che gli valse il Premio Pulitzer per la letteratura. Da essa è stato tratto anche il film di Ewan McGregor del 2016.

“Pastorale americana” è uno di quei libri, rari e preziosi, che ti cambiano la vita. C’è un prima e c’è un dopo. Dell’incontro con questo romanzo ricordiamo il sapore delle giornate, quale momento e quale fase attraversava la nostra vita, quando ne cominciammo la lettura. Non succede con tutti i libri.

Altrettanto degna di nota è la tetralogia di Zuckerman. Essa comprende i seguenti quattro romanzi: “Lo scrittore fantasma” (1979, significativamente dedicato a Milan Kundera), “Zuckerman scatenato” (1981), “La lezione di anatomia” (1983), “L’orgia di Praga” (1985). Tutti pubblicati, in italiano, da Einaudi.

Se si ha la fortuna di leggere “La lezione di anatomia” durante un periodo di malattia, Roth ci offre l’occasione, vibrante e immediata, di riflettere sul dolore, fisico e psichico, in una maniera di cui saremmo incapaci senza il suo contributo. Di meditare, quindi, su una delle esperienze più universali che attraversano la vita umana.

L’incubo dell’ebraismo

Come il suo illustre predecessore Joseph Roth, tra i più significativi narratori della Mitteleuropa, anche Philip Roth è profondamente connesso e implicato con l’ebraismo. Con quell’impasto inestricabile di dramma e luce che, da sempre, accompagna le vicende storiche, religiose, teologiche e culturali del popolo eletto. Ne dà somma esemplificazione un romanzo come “Il complotto contro l’America” (2004, ed. it. Einaudi), che è stato anche oggetto di una miniserie televisiva.

In questo libro, Roth si cimenta con quello che, nell’inconscio dell’ebraismo, è l’incubo per eccellenza, quello senza ritorno, quello senza speranza, almeno per quanto concerne l’epoca contemporanea. Vale a dire, gli Stati Uniti che, nella Seconda guerra mondiale, si alleano con la Germania di Hitler. Si tratta di “un’opera di fantasia”, naturalmente, come avverte lo scrittore all’inizio dell’importante “Poscritto”, collocato alla fine del libro.

Ma la grandezza dell’arte, del romanzo e del cinema, consiste nella capacità di giocare, in modo veritativo, con la finzione e l’immaginazione. In questo caso, con una dimensione di radicale negazione di ogni speranza. Un incubo tale da togliere il sonno ad ogni persona in vario modo e misura legata all’ebraismo.

Chi è di religione ebraica, o ha radici ebraiche, queste cose non solo le ha sentite raccontare innumerevoli volte, ma le porta costantemente dentro di sé. Per spiegare agli altri, ai cristiani e più in generale ai non ebrei, di quale natura fosse quell’incubo, anche la filosofia contemporanea può dare un grosso contributo.

All’inizio di “La banalità del Male. Eichmann a Gerusalemme” (1963, ed. it. Feltrinelli) di Hannah Arendt, ad esempio, troviamo dei versi di Brecht tratti dalla poesia intitolata “Germania” (1933). I versi dicono: “O Germania – udendo i discorsi che risuonano dalla tua casa si ride. / Ma chiunque ti vede dà di piglio al coltello”.

L’incubo storico è stato dunque di questa natura: una delle massime potenze mondiali, la Germania di Hitler, scatena il secondo conflitto mondiale per imporre il suo giogo totalitario al massimo numero possibile di paesi del mondo. Contestualmente, tra i massimi obiettivi strategici della potenza tedesca, c’è quello dello sterminio integrale del popolo ebraico, la cosiddetta soluzione finale del problema ebraico, che portò alla distruzione degli Ebrei d’Europa, alla Shoah e ai suoi sei milioni di morti.

Roth, attraverso la sua fantasia di romanziere, aggiunge un tassello: gli Stati Uniti si alleano alla Germania di Hitler e ne condividono il progetto antisemita. Ovvio che, oltre questo livello, la dimensione dell’incubo non può essere spinta.

Un ammonimento che ci riguarda

Nel “Complotto contro l’America”, i personaggi di rilievo politico sono quasi tutti storici, a partire dal grande Franklin Delano Roosevelt che incarna e simbolizza le forze del bene e della speranza nel futuro. Per arrivare a Charles A. Lindbergh, il grande aviatore che viceversa rappresenta l’incubo. Nella realtà, Lindbergh non divenne mai Presidente degli Stati Uniti come, invece, accade nel romanzo di Roth.

Ma, come lo scrittore dimostra nel “Poscritto”, le sue posizioni politiche sono state, storicamente, analoghe a quelle che Roth gli attribuisce nel romanzo: atteggiamento filo-nazista e antisemitismo.

Questo il quadro fantastico-storico su cui il romanzo è costruito: un paese come gli Usa che fanno da cameriere alla Germania di Hitler. Ma, come ogni lettore di romanzi sa, l’operazione narrativa non si costruisce sulle grandi prospettazioni storiche o pseudo-tali, ma su un intreccio di storie individuali e di personaggi. Così, al centro di “Il complotto contro l’America”, vi è una famiglia della piccola-media borghesia americana, di fede ebraica e progressista.

Il reagente chimico della narrazione è nell’incrociarsi della vita familiare con il quadro politico che si è creato, quello della Presidenza Lindbergh che deve sottostare alle pressioni antisemite di Hitler. Spesso, in questo tipo di operazioni narrative di tipo fantastico-storico, la maggior parte dei romanzieri crolla, dando luogo a qualche abborracciatura a buon mercato.

Ma la mano di Roth è ferma e sicura, la sua capacità di penetrazione psicologica è indubbia e il caustico e corrosivo narratore sembra volerci ammonire, dicendo: dell’America si può dire di tutto, rivolgerle a ragione le critiche più feroci, ma provate ad immaginare “cosa sarebbe stato se”Del resto, è vero che, come dice l’adagio, la Storia non si fa con i “se”. Ma con i “se”, Philip Roth ha scritto un grande romanzo…