La Via Crucis di Papa Francesco: quando la croce passa sulle nostre strade
Il cuore di questa Via Crucis non sta tanto nella liturgia, quanto nella lettura potente e moderna che il Papa ha offerto del dolore

In un Colosseo avvolto dal freddo e dalle preghiere, mentre le fiaccole illuminano le arcate millenarie e la città rallenta il passo per ascoltare, anche quest’anno la Via Crucis si fa messaggio universale. Papa Francesco non è stato presente fisicamente — troppo lunga l’esposizione al gelo romano per un uomo che solo poche settimane fa ha lasciato il Gemelli dopo una polmonite bilaterale — ma il suo pensiero, impresso nero su bianco nelle meditazioni ufficiali, cammina con i fedeli, attraversa i volti che portano la croce: migranti, disabili, sanitari, giovani, detenuti, volontari del Giubileo.
Il cuore di questa Via Crucis, però, non sta tanto nella liturgia, quanto nella lettura potente e moderna che il Papa offre del dolore. Le sue parole sembrano fiorire direttamente dal peso della croce che ogni giorno grava sulle spalle del mondo: “Anche la via della croce è tracciata a fondo nella terra”, scrive, ribaltando il sogno verticale della torre di Babele. “Il cielo lo si incontra rimanendo a terra, anche cadendo”.
Non si tratta di cadute, ma di sguardi
La Terza Stazione — “Gesù cade per la prima volta” — diventa lo snodo simbolico di tutto il testo. Non è tanto la caduta fisica che colpisce, ma ciò che essa rivela: una distanza enorme tra il mondo che costruisce muri e chi, cadendo, ricorda che siamo fatti per rimanere umani. Francesco smonta pezzo dopo pezzo le logiche disumane dell’economia contemporanea — “un’economia dove novantanove valgono più di uno” — e propone un’altra aritmetica: quella del Regno, dove il volto conta più dell’efficienza, la lacrima più del profitto.
C’è un senso di scoramento nelle sue parole, ma non cede mai al pessimismo. Non è uno sfogo, è una diagnosi. E la cura, suggerisce, non è il sensazionalismo spirituale ma la concretezza dell’umile: chi dà da mangiare, chi accoglie, chi ascolta. Chi sa fermarsi.
Quando il mondo si fa Babele
Il Papa scrive di “un cantiere dell’inferno” costruito sull’idea che chi sbaglia è perduto. Un’immagine che brucia nel tempo dei social, delle condanne istantanee, dei titoli che non perdonano. La croce, in questo scenario, diventa una via alternativa. Non un luogo da evitare, ma un punto d’incontro: tra i giusti e gli ingiusti, i credenti e i non credenti, i forti e gli invisibili. Il mondo, dice Francesco, “cerca un nuovo inizio”. Ma per trovarlo bisogna passare da lì, da quella strada impervia, scomoda, che lui chiama “la via delle Beatitudini”.
Giuseppe di Arimatea, l’uomo controcorrente
Una delle immagini più forti di questa Via Crucis è quella di Giuseppe di Arimatea, l’uomo che decide di non stare con la maggioranza, che va a prendersi il corpo di Gesù quando tutti se ne sono andati. “È una buona notizia”, scrive il Papa. Perché Giuseppe rappresenta chi non si piega alla narrazione dominante. Chi non ha paura di prendersi la responsabilità, anche se è scomoda. Un richiamo, sottile ma netto, a chi oggi sceglie il silenzio per convenienza. Francesco chiede il coraggio dell’impopolarità, quello che ha più a che fare con la coscienza che con i like.
L’economia di Dio è un’altra cosa
In un passaggio durissimo, ma profondamente realistico, il Pontefice disegna un mondo “di calcoli e algoritmi”, dove “le persone diventano numeri” e la fretta cancella la compassione. Chiede che ci si fermi. A guardare in faccia. A respirare. A dare tempo al tempo. “Quando i cambiamenti di programma non sono ammessi”, scrive, “ferma la nostra corsa, Signore”. Parole che suonano tanto laiche quanto profondamente spirituali. Un appello all’umano, prima ancora che alla fede.
Una Chiesa da ricucire
Francesco sa che anche la Chiesa oggi è una veste lacerata. E non lo nasconde. Ma dentro quella ferita vede l’occasione per ritessere la fraternità. “Conosci uno a uno, per salvare tutti”, scrive. Non esiste un’umanità a pezzi, esistono fili da riallacciare. Il tempo della divisione — anche dentro la fede — è sterile. La sua preghiera finale è silenziosa, come se parlasse da solo, come un credente qualsiasi che guarda un crocifisso nella quiete del sabato: “Gesù, che sembri dormire nel mondo in tempesta, portaci tutti nella pace del sabato”.