Lavoro, alla scoperta del “nemico”
Un nemico che assume sempre forme immateriali
Lavoro: un argomento giornalisticamente molto gettonato, sui cui tanto si è detto e tanto si dirà. E’ quindi difficile scriverci qualcosa sopra senza scadere nel banale. Proviamoci lo stesso, dando una chiave più politica che tecnica all’argomento.
Da quasi dieci anni viviamo in una condizione di pesanti crisi economica e finanziaria, che da anni non dà cenni di retrocessione. Arrivano schiarite, ma, almeno a quanto ci dicono, il nemico è sempre dietro l’angolo. Chi sia questo nemico, in realtà, non si è ancora capito bene, giacché quando esce allo scoperto per colpirci di sorpresa assume sempre forme immateriali su cui è abbastanza difficile riversare il nostro odio (sembra la Fattoria degli Animali di Orwell). Lo spread ne è un esempio calzante.
Facciamo allora fagotto e decidiamo di approfondire la questione, alla ricerca del grande nemico che attanaglia e accerchia l’Italia borghese e proletaria. Per sicurezza di portiamo una vanga ed un piccone, giacché già sappiamo di dover scavare a fondo. Giù di piede sul badile tiriamo via un pò di terra, però di nomi e cognomi non ne troviamo neanche uno, ad esclusione di qualche blogger-talpa che ci spunta fuori come un fungo, rendendoci partecipi di qualche pittoresca teoria complottista che ci vorrebbe tutti sotto il dominio di Rockefeller posto alla testa di associazioni demo-pluto-crato-massoni con simboli di demoni e draghi rossi su sfondo nero. E così si rimane belli che con l’invettiva in bocca senza sapere a chi rivolgerla.
Ricopriamo allora il nostro blogger e scaviamo ancora un pò più in giù, arrivando, infine, a toccare il fondo; ivi troviamo una lastra di ghiaccio: è dunque l’ora di tirar fuori il piccone e sfondarla, così da capire cosa ci sia sotto. Stando attenti a non caderci dentro, scopriamo una voragine: è quella della ricchezza. Una ricchezza in movimento. Piccone alla mano, faccia stranita e ghiaccio sulle mani la guardiamo meglio: essa sfida le leggi del Padre Eterno. L’Altissimo, nella sua enorme saggezza, ci ha infatti donato una terra regolata da legge squisitamente socialista: quella di gravità, che vede le cose dall’alto venire attratte verso il basso. Questa ricchezza che vediamo qui sotto invece se ne frega, ed in barba a Marx e Dio fa andare le cose dal basso verso l’alto.
E così, contestualizzando i nostri scavi alla situazione corrente, scopriamo che chi prima della crisi era ricco oggi è ancora più ricco, e viceversa chi prima della crisi non era ricco, ora…beh, no, ricco non è diventato ricco, ed anzi, media o bassa che fosse, la sua classe sociale si è abbassata ulteriormente, rendendolo più povero di prima. Non è una grande scoperta, ma almeno abbiamo capito che esiste dunque una nuova legge che ha buttato fuori a calci la a noi cara predecessora newtoniana: è quella del neoliberismo. Un nome e un cognome ancora non ce l’abbiamo, ma quantomeno possiamo additare come colpevole chi si fa profeta di questo blasfemo capriccio dell’uomo calvinista. Infatti, come un’eresia, questa legge, da almeno una ventina d’anni, impera nella maggioranza del mondo occidentale, essendo stata oltremodo inserita – forzosamente o meno – in ogni angolo della nostra società, e che gradualmente sta assorbendo tutti i nostri sistemi di produzione. Ci è inoltre possibile dire a chiare lettere che questa crisi di cui parliamo, che pare avere anonimi agenti, è stata provocata proprio da quell’accozzaglia di dottrine economiche, sociali e (povero Platone) filosofiche che prendono il nome di neoliberismo.
Oggi, nella giornata dei lavoratori, ci accorgiamo che qualcuno, paventando di nuovo lo spauracchio del nemico crisi dietro l’angolo (dopo anni è diventata una pratica stomachevole) crede o vuol far credere che la soluzione ai nostri problemi sia, di nuovo, il neoliberismo. Parafrasato, è come se ad un fumatore malato di tumore ai polmoni il medico consigliasse caldamente di raddoppiare i pacchetti di sigarette fumati giornalmente. Chapeau. Ovviamente queste brillanti soluzioni per fermare al nemico alle porte si ripercuotono anche sul mondo del lavoro. E così si sproloquia con l’utilizzo di termini come “mobilità”, “versatilità”, “temporaneità”, “flessibilità” e via discorrendo con altre simpatiche definizioni fantasiose che vorrebbero neoliberalizzare tutto il nostro lavoro, rendendoci perennemente precari.
In fondo, fatto cento perché non fare centouno? Se nel corso degli ultimi anni si è riusciti a far svendere patrimonio pubblico, devastare la concorrenza locale piccola e media, bloccare la mobilità sociale e rese èlitarie alcune istituzioni scolastiche e sanitarie, precludendole a chi ha meno, perché non completare il quadro e distruggere ogni possibilità di ascesa sociale o stabilità economica tramite il lavoro? Ci eravamo già passati con Biagi, che riposi, il quale con alcuni interessanti provvedimenti ebbe a dare il benvenuto a chi si stava affacciando sul mondo del lavoro, rendendoglielo “flessibile” a colpi di frusta. Risultato? Via libera al cancro della precarietà giovanile, che tradotto ha significato progressione lavorativa futura bloccata, interrompendo un certo ricambio generazionale. Un non plus ultra. Poi, dopo alcuni anni di silenzio, si è tornati alla carica con la piangente Fornero, che con la sua riforma ha voluto gentilmente vangare chi un lavoro ce lo aveva già e della riforma Biagi o non aveva risentito affatto o aveva risentito poco. Ma perché, chi aveva già un lavoro era figlio di un dio minore e non meritava l’attenzione del neoliberismo? Diamine no, abbracciamo anche loro: art. 18 dello statuto dei lavoratori minato, così da destabilizzare una delle poche certezze che ci separavano (e grazie a Dio forse ancora oggi ci separano) da una precarietà a trecentosessanta gradi, che vedrebbe milioni di italiani giocare al gioco della sedia, rischiando lo stipendio oltre che al fondo schiena a terra.
Concludiamo augurando a tutti una buona festa dei lavoratori, augurandoci anche da soli che con la definizione di una nuova fase politica, che specialmente dopo il governo monti sembra aver iniziato a germinare, si inizi a pensare ad un modo diverso di fare economia e conseguentemente creare lavoro, più basato sulla condivisione e sulla stabilità anziché sull’eterna precarietà di un sistema che fagocitando i più deboli ingigantisce e fa ingrassare sempre i soli noti.