Lazio, la maternità arriva sempre più tardi. Le mamme hanno un’età media di quasi 34 anni
Nel Lazio, come in gran parte del Paese, la maternità non è più un traguardo dei vent’anni, ma un progetto da valutare con attenzione

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Nel 2024, il Lazio si è confermato come la regione italiana in cui le donne diventano madri più tardi. Secondo gli indicatori demografici diffusi da Istat, l’età media al parto ha raggiunto i 33,3 anni, ben al di sopra della media nazionale di 32,6.
Un’età media al parto tra le più alte in Italia
Questo dato, apparentemente solo statistico, racconta invece una trasformazione profonda del tessuto sociale e culturale della regione. L’ingresso tardivo nella maternità è il risultato di una serie di fattori intrecciati: instabilità economica, precarietà lavorativa, cambiamenti nei modelli relazionali e nelle aspirazioni individuali.
Nel Lazio, come in gran parte del Paese, la maternità non è più un traguardo dei vent’anni, ma un progetto da valutare con attenzione, in equilibrio tra desideri personali e condizioni oggettive. Il risultato è un tasso di fecondità che scivola verso il basso: 1,12 figli per donna, contro l’1,18 della media nazionale. Un dato che pone interrogativi non solo sul futuro demografico, ma anche sull’equilibrio del sistema sociale e produttivo.
L’estensione dell’accesso alla PMA, specchio del cambiamento
Una delle particolarità del Lazio riguarda l’accesso alla procreazione medicalmente assistita (PMA). Dal novembre 2022, la soglia è stata innalzata da 43 a 46 anni, rendendo la regione una delle poche in Italia ad adottare questo approccio più flessibile. La scelta legislativa ha un impatto rilevante: non si tratta solo di una misura sanitaria, ma anche di un segnale culturale.
Questo ampliamento dell’età d’accesso riflette la consapevolezza di un cambiamento strutturale nella tempistica della genitorialità. E se da un lato può essere interpretato come un’opportunità per molte donne che posticipano la maternità per ragioni personali o professionali, dall’altro sottolinea la difficoltà crescente nel concepire spontaneamente superata una certa soglia anagrafica. La medicina riproduttiva diventa così non un’alternativa di nicchia, ma una componente quasi strutturale della maternità tardiva.
Il paradosso della forza lavoro: più attivi, meno figli
Nel 2023, nel Lazio sono nati circa 34.300 bambini, una cifra che conferma il trend decrescente delle nascite nella regione. Eppure, lo stesso territorio occupa il secondo posto in Italia per quota di popolazione in età attiva (64,2%), subito dopo la Campania (65,3%). Questo paradosso – un’elevata disponibilità di forza lavoro, ma una scarsa natalità – evidenzia una frattura tra capacità produttiva e rigenerazione demografica.
Il dato invita a una riflessione più ampia sul sistema di supporto alla genitorialità. Avere una popolazione in età lavorativa numericamente rilevante non si traduce necessariamente in un ambiente favorevole alla natalità. Il problema non è la mancanza di adulti potenzialmente fertili, ma la qualità della loro condizione socio-economica. Lavori instabili, salari bassi, carenza di politiche per l’infanzia e accesso difficile agli alloggi sono fattori che, messi insieme, erodono la possibilità concreta di fare figli, anche in presenza di un forte capitale umano.
Una questione strutturale più che individuale
Nel dibattito pubblico la denatalità è spesso trattata come una questione privata: una scelta individuale, un desiderio mancato, una rinuncia. Ma i dati del Lazio mostrano un’altra verità, meno emotiva e più sistemica. Le trasformazioni demografiche non sono semplici esiti di preferenze personali, bensì il prodotto di condizioni strutturali. L’età avanzata al parto, il ricorso crescente alla PMA, il calo della fecondità non possono essere separati dalla realtà lavorativa, dalle politiche sociali e dalla cultura della maternità che si è sviluppata negli ultimi decenni.
Il ritardo nella genitorialità non è un’anomalia, ma una nuova normalità. Una normalità che pone sfide significative per chi amministra il territorio, progetta servizi pubblici, immagina il futuro delle città e delle comunità. E che richiede un ripensamento profondo delle priorità sociali: dalla salute riproduttiva al sostegno alla famiglia, dalla conciliazione tra lavoro e vita privata fino alla riforma dei tempi della città. Il Lazio, in questo, è un osservatorio privilegiato. E anche un banco di prova.