Le mascherine sono state utili o il loro effetto è nullo? Ecco i risultati
La vera scienza va interpretata per le tesi che propone e anche per quelle che le smentiscono. Non dovrà mai esistere la scienza a una sola voce
Al principio della pandemia assenti, complice qualche dimenticanza in tema di Piani Pandemici. Poi distribuite a prezzi esorbitanti e a costo di file estenuanti. Infine, piano piano, le mascherine hanno preso piede come dovevano, fino a diventare oggetto di distribuzione anche gratuita.
Sono veramente servite le mascherine?
Le mascherine ci hanno accompagnato durante tutti questi anni orribili della pandemia. Indossate al lavoro, fuori casa, a volte anche in casa, hanno comunque popolato le nostre tasche, le nostre borse, i nostri zainetti con la stessa frequenza delle chiavi di casa o dei portafogli, e come questi a volte dimenticate e oggetto di recuperi ansiosi quanto frettolosi.
Dover indossare o meno la mascherina è diventato il discrimine tra il senso di oppressione dettato dai tempi della pandemia e la agognata liberazione da essa. Ma recentemente si è scatenata una diatriba, solo all’apparenza oziosa: sono veramente servite le mascherine?
La questione è ritornata agli onori della cronaca essenzialmente a seguito della pubblicazione di un lavoro scientifico molto dettagliato. Una ricerca nella cui conclusione gli autori mettono in dubbio l’utilità dell’uso delle mascherina nel limitare il contagio dei virus respiratori, tra i quali il SARS-CoV-2 e il virus dell’influenza.
Al di là del fatto che l’utilizzo o meno di questo particolare capo d’abbigliamento monouso è diventato per alcuni una sorta di bandiera ideologica per via dei relativi obblighi ad indossarla, può essere interessante, mettendo da parte le tipicamente italiote guerre tra guelfi e ghibellini, avere una idea precisa su come possono funzionare, e su cosa ne hanno scritto in proposito gli addetti ai lavori.
La mascherina chirurgica e la FFP2
Numerosi patogeni respiratori, tra cui il virus SARS-CoV-2, possono trasmettersi senza un contatto diretto. L’utilizzo delle mascherine è pensato tanto per limitare la diffusione di eventuali patogeni respiratori da parte di chi le indossa, quanto per limitare l’ingresso dei patogeni stessi nelle vie respiratorie del soggetto sano.
Le mascherine più diffuse e a noi più familiari sono la mascherina “chirurgica” e la “FFP2”, anche se poi non è infrequente imbattersi in altri tipi di mascherine più eleganti, ma di effetto protettivo sicuramente più limitato.
In assoluto, il potere filtrante dei tessuti con cui sono prodotte le mascherine chirurgiche e FFP2 è notevole. Vengono descritte riduzioni anche di 1000 volte tra la quantità di patogeno del soggetto che le indossa, e quella rilevata nella parte esterna della mascherina.
E’ chiaro e intuitivo che il potere filtrante della mascherina venga messo alla prova più severamente quando debba limitare la diffusione del patogeno (virus o batterio che sia) emessi dalla persona infetta, che non quando sia chiamata a difendere il soggetto sano da patogeni che fluttuano nell’aria o in goccioline emesse da persone infette.
Quanto aderisce al viso la mascherina?
Eppure il vero discrimine di ogni mascherina è quanto efficientemente aderisce al viso di chi le indossa. La dimensione di qualsiasi (inevitabile) fessura è direttamente proporzionale alla possibilità che il temuto virus/batterio possa intrufolarsi nelle nostre vie aeree. Su questa base, diviene intuitiva la ragione del successo delle mascherine FFP2.
Ma in proposito, cosa dicono gli addetti ai lavori? Scorrendo i motori di ricerca generalisti e specializzati, ci si imbatte in un diluvio di articoli che celebrano il potere salvifico delle mascherine. Articoli su riviste scientifiche, pezzi divulgativi pubblicati da organismi di controllo internazionali (FDA, EDCD, EMA, FDA) come da cliniche prestigiose (Mayo Clinic, Johns Hopkins).
Tutti a spiegare quanto sia necessario indossare le mascherine in tempi pandemici e, magari, anche post-pandemici.
Mascherine, sì o no. Le voci fuori dal coro
E quando esiste un consenso così uniforme, dovere di chi vuole veramente approfondire e capire è quello di sentire le voci fuori dal coro. Ce lo insegna il vero metodo scientifico, nonché i recentissimi avvenimenti in tema pandemico che meritano però trattazioni in altre sedi.
Il già citato recente articolo pubblicato dalla Cochrane Library, un documento di ben 326 pagine, prende in considerazione un gran numero di trial clinici concludendo in maniera onesta e per nulla apodittica che:
Ecco la traduzione dei risultati dello studio
“L’alto rischio di distorsioni negli studi, la variazione nella misurazione dei risultati e l’aderenza relativamente bassa agli interventi durante gli studi ostacolano il trarre conclusioni definitive…….C’è incertezza sugli effetti delle mascherine. La certezza dell’evidenza da bassa a moderata significa che la nostra fiducia nella stima dell’effetto è limitata e che il vero effetto può essere diverso dalla stima osservata dell’effetto.
I risultati aggregati dei risultati dai trial clinici non hanno mostrato una chiara riduzione dell’infezione virale respiratoria con l’uso di mascherine medico/chirurgiche. Non ci sono state chiare differenze tra l’uso di mascherine medico/chirurgiche rispetto alle FFP2 negli operatori sanitari quando utilizzati nelle cure di routine per ridurre l’infezione virale respiratoria….
Saranno necessari trial clinici ampi e ben progettati che affrontino il tema dell’efficacia di molti di questi interventi in più contesti e popolazioni, nonché l’impatto dell’aderenza sull’efficacia”.
La meta-analisi combina i dati di più studi
Si badi bene che questo documento è stato redatto esclusivamente basandosi su dati già pubblicati, attraverso una procedura definita “meta-analisi”. Quindi, si basa su osservazioni fatte e pubblicate da altri scienziati. E comunque, questo documento non arriva ad alcuna conclusione definitiva, se non quella che andrebbero concepiti e sviluppati studi “ad hoc”.
Come abbiamo imparato dal modo in cui sono stati dibattuti altri argomenti riguardanti la pandemia, a seguito di questa pubblicazione si sono subito attivate le truppe “più realiste del re”, nell’intento di screditare le conclusioni degli autori del suddetto studio.
Ma insistendo nella ricerca di recentissime ricerche dalle conclusioni originali, ci si imbatte subito in uno studio che, se da una parte certifica come l’uso della mascherina non intacchi i livelli di anidride carbonica nel sangue, dall’altra prova il fatto che un uso scorretto della mascherina (conservazione e riuso inappropriati, in particolare) possa addirittura favorire la trasmissione di patogeni respiratori.
Continuando nella ricerca, ci si imbatte nei dati di un recentissimo preprint che dimostrano la inefficacia dell’uso delle mascherina a scuola per i bambini dai 10 ai 12 anni.
Le tesi non coincidenti degli scienziati
Quindi, come è giusto che sia, possiamo trovare punti di vista non coincidenti da parte degli scienziati che si sono occupati dell’efficacia delle mascherine nel prevenire le infezioni respiratorie. Anche in questo caso la vera scienza va interpretata per le tesi che propone e anche per quelle che le smentiscono. Non esiste e non dovrà mai esistere la scienza a una sola voce. Quella è un’altra cosa.
Le mascherine usate in sala operatoria
Nel caso dei medici in sala operatoria la mascherina è sempre necessaria per evitare che :
a. il chirurgo venga colpito direttamente da materiale ematico (schizzi di sangue);
b. i microrganismi anche normalmente non patogeni che popolano il cavo orale del medico (candida, micoplasmi, batteri) si trasmettano su ferite aperte o inquinino dispositivi che devono rimanere (il più possibile) sterili (ferri chirurgici, tamponi, farfalle, ecc).
In una parola, il tavolo operatorio dovrebbe rimanere sterile, e il fiato è inevitabile fonte di contaminazione.
Conclusioni
In tutto questo, comunque, come ci si dovrebbe comportare? Gli effetti deleteri nell’ indossare le mascherine sono veramente trascurabili se usate nella maniera e con i tempi giusti. Il fastidio, anche per il cittadino che non lavora nelle strutture sanitarie, è minimo. Quindi, nelle situazioni che lo richiedono, è difficile trovare argomenti che ne sconsiglino l’uso in tempo di pandemia.
Da qui però ce ne corre a doversi rassegnare a vedere persone che indossano mascherine da soli all’aperto, in automobile, in moto, in bicicletta, sul monopattino. O anche per lunghe ore in solitudine nei luoghi di lavoro. L’attuale persistere di questi comportamenti prova senza tema di smentita che, in questi casi, l’apparato che dovrebbe essere attenzionato non è certo quello respiratorio.
Dr. Maurizio Federico
National Center for Global Health
Istituto Superiore di Sanità