Le nostre inchieste: il bartering è un aiuto alle aziende o frode fiscale?
Stiamo parlando del baratto, il bartering appunto, lo scambio di beni e servizi senza l’utilizzo del denaro, la moneta più antica del mondo
In ogni epoca della storia economica, approfittando di vuoti legislativi più o meno voluti oppure semplicemente importando dall’estero, nuovi strumenti e meccanismi finanziari evoluti, proliferano sistemi tendenzialmente illeciti che a fari spenti, con la banale scusa di aiutare l’economia nazionale e le aziende che ne fanno parte, finiscono inevitabilmente per evadere il fisco, violare le regole della libera concorrenza e produrre indebito arricchimento per i soliti furbi a danno della comunità.
Il Barter, cioè il baratto
Uno di questi “nuovi” meccanismi è sicuramente il Barter o Bartering. Nato inizialmente negli Stati Uniti per favorire lo sviluppo pubblicitario dell’industria televisiva, il barter si è recentemente diffuso in tutto il mondo e oggi anche in Italia si sta sviluppando soprattutto al livello di piccole e medie imprese. Stiamo in realtà parlando del baratto, lo scambio di beni e servizi senza l’utilizzo del denaro, la “moneta” più antica del mondo, uno strumento di pagamento complementare alla moneta tradizionale , una modalità di transazione tra aziende con forma di pagamento in merci e servizi.
In pratica, il Corporate barter consente alle aziende con poca liquidità e prive di affidamenti bancari, di pagare gli acquisti con la vendita dei propri prodotti. Un circuito di BARTER va a rivolgersi soprattutto a commercianti con fondi di magazzino di difficile vendita, che in tal modo hanno il vantaggio di promuovere il proprio invenduto, ma anche ai fornitori di servizi che non hanno materiale da scambiare. Quella del Barter, la possiamo definire una operazione multilaterale, tra soggetti diversi e può essere effettuato al 100% in natura o parzialmente in denaro. Una sorta di moneta virtuale parallela a quella corrente.
Chiariamo i rapporti in gioco tra le parti
Il cliente/inserzionista acquista dal MEDIABARTER la campagna pubblicitaria, dopo averne concordato tutte le specifiche in termini di mezzi e budget, pagandola con una fornitura di merci/servizi/buoni spesa di pari valore.
Il MEDIABARTER fattura al cliente il corrispettivo (+ I.V.A.) della campagna pubblicitaria
IL CLIENTE fattura a MEDIABARTER il corrispettivo della merce (+ I.V.A.) o dei buoni spesa (fuori campo applicazione IVA secondo il DPR 633/72: Art.2 c.3 lettera a.)
Entrambi provvedono a compensare contabilmente i reciproci debiti/crediti, oltre a liquidare eventuali aliquote I.V.A. differenti.
Il MEDIABARTER provvederà ad immettere sul mercato a propria cura la merce o i buoni spesa ricevuti in pagamento, secondo le modalità definite con il cliente
Le fatture tra inserzionista (merce) e MEDIABARTER (pubblicità) quindi, essendo di pari importo si compensano, eliminando qualunque flusso di cassa, azzerando l’esposizione finanziaria.
Allo stesso tempo, i fornitori del MEDIABARTER, rappresentati da Concessionarie, Agenzie e da Circuiti di Barter Multilaterale fatturano la pubblicità al MEDIABARTER con uno sconto extra.
Dal canto suo il MEDIABARTER vende la merce a terzi, applicando uno sconto inferiore a quello ottenuto dalla concessionaria.
Il MEDIABARTER provvede a liquidare la concessionaria secondo le modalità concordate.
Uno schema semplice
Lo schema, dunque è semplice: A vende a B che vende a C che a sua volta vende ad A; in tal modo il Corporate barter non solo può rappresentare una soluzione finanziaria anti-crisi, ma anche una forma nuova di marketing per piccole imprese, che permette di allargare il mercato di riferimento delle aziende aderenti al circuito.
Al momento dell’ingresso nel network, dopo un’analisi della solvibilità dell’azienda aderente, viene concesso un fido, meglio dire una disponibilità di acquisto (che non genera interessi ), con cui si possono fare le prime transazioni. Ogni azienda che aderisce al circuito apre quindi un conto che gestisce la contabilità in entrata e in uscita dei valori corrispondenti alle vendite o agli acquisti.
Se l’azienda va a debito
Per cui se l’azienda va “a debito” (cioè ha acquistato più di quanto ha venduto) si salda semplicemente, a fine anno, vendendo merce o offrendo un servizio per un importo pari a quanto acquistato. Nel caso poi l’azienda non vuole rinnovare la quota associativa, si salderà in denaro.
Quando l’azienda va a credito
Se invece va a credito (cioè ha venduto più di quanto ha acquistato) quest’ultimo si estingue solo facendo acquisti in barter, in qualsiasi momento e senza alcuna scadenza, e mai convertendo in denaro il credito.
In Italia però, questo sistema ha un grave handicap riscontrato nella legislazione vigente che limita fortemente una società di barter a dare piena soddisfazione a tutte le richieste di acquisto e vendita di beni e servizi in compensazione multilaterale: tasse, utenze e oneri finanziari non sono infatti “barterizzabili”, almeno in linea teorica.
Infatti questa dinamica crea un’incredibile opportunità per chiunque voglia evadere le tasse ed “aggiustare” le rimanenze e i numeri di bilancio in generale. La prima modalità per una deriva illecita del Bartering è quella di “Infarcire il canale” di vendita. E’ questa una politica diffusa nel mondo dell’editoria, attraverso le quali in chiusura di esercizio si spediscono beni a potenziali consumatori/acquirenti, proponendo forti sconti commerciali e lasciando la facoltà di decidere entro un certo tempo (scadente nell’esercizio successivo) se acquistare i beni o renderli
Nell’intertempo si rilevano indebitamente ricavi di vendita e crediti verso clienti
L’obiettivo è di aumentare il valore del fatturato e di contrarre il valore del magazzino, spesso anche al fine di occultare perdite d’esercizio: questa politica può essere mascherata attraverso operazioni fittizie di bartering indicando il pagamento, parziale o totale, di una campagna pubblicitaria attraverso i prodotti e i servizi dell’azienda inserzionista.
Altra evoluzione illecita ottenibile dal Bartering è il PRICING (determinazione dei prezzi di vendita).
Le politiche di pricing configurano frode fiscale, elusione fiscale, danno patrimoniale, compensazioni fittizie di IVA. Il Pricing si fonda sull’alterazione del valore normale dei beni scambiati, utilizzando quasi sempre a tal scopo, una o più SPV ( cosiddette società veicolo ) e/o strutture fiduciarie estere.
E lo Stato si accanisce sempre col più debole
Queste tecniche finanziarie, spesso combinate con sistemi di valutazione fiscale mirati, consistono in scambi a triangolo o scambi a catena attraverso cui si distraggono progressivamente i profitti, sottofatturando i ricavi e/o sovrafatturando i costi, così da costituire fondi neri deflessi in uno o più paesi a bassa fiscalità (“profit split”).
Ecco che, da un sistema di pagamento basico ed antico, si arrivi ad una complessa impalcatura di sistemi finanziari condotti da società di diritto internazionale, da aziende quotate in borsa, da banche d’affari spregiudicate. Ed ecco che la risposta da parte dello Stato sarà purtroppo sempre la stessa, cioè quella di accanirsi ancor di più col piccolo commerciante, con la piccola azienda familiare, con quel mondo economico che pensa ancora che il BARATTO sia un antico metodo di pagamento, quando la moneta non era ancora stata inventata.