Le suore accudiscono i preti e le sorelle anziane. La Chiesa considera il ruolo della donna?
Alcune suore si dedicano ad accudire vescovi, cardinali e Papi. Non capisco perché non assumano cameriere o badanti
Ci sono voluti millenni perché la donna, fertile, decidesse di vivere una vita al di fuori del ruolo di madre. Magari conservando in sé lo spirito materno ma devolvendolo ad altre finalità. Pensiamo alle suore per esempio.
Le suore, donne che dedicano la loro vita a Dio
Dicono di dedicare la loro vita a Dio, poi, nei fatti, se non si rinchiudono nella clausura in preghiera, dedicano tutte se stesse all’attività di cura dei malati negli ospedali, all’assistenza ai poveri, agli emarginati. Per loro è un modo per amare Dio ed è un modo magnifico per fare del bene alla comunità. Alcune si dedicano ad accudire vescovi, cardinali e Papi.
Non capisco perché non assumano cameriere o badanti, vista l’età e la condizione di salute spesso precaria di quei signori e non vedo perché si debba sfruttare il lavoro delle monache. Le suore accudiscono i preti e le altre sorelle anziane. Vi sembra un’alta considerazione del ruolo della donna da parte della Chiesa? Loro si difendono col fatto che la donna deve essere madre e non ha accesso neanche ai compiti sacramentali riservati ai sacerdoti. Alle origini del Cristianesimo non era così. C’erano le diaconesse.
Alle diaconesse venne riservato un ruolo marginale e poi vennero abolite
Voglio soffermarmi un poco su questa storia delle diaconesse. Anche perché mi sono sempre domandato perché nella Chiesa cattolica che vede le donne tra le sue più ferventi fedeli, loro stesse non si pongano domande sul ruolo ancillare loro riservato dalla gerarchia ecclesiastica. Il termine diacono applicato a una donna appare nella “Lettera ai Romani” (Paolo di Tarso, anni 50 del primo secolo d.C.). Non si trattava di un livello gerarchico della Chiesa di allora che doveva ancora essere strutturato. Di solito tra i cristiani dei primi secoli le vedove erano beneficiarie di assistenza, in quanto prive di marito, e si occupavano di opere di carità per la comunità. Le diaconesse accompagnavano le madri nel sacramento del battesimo.
Il termine diaconesse continuò ad essere usato a lungo nel primo millennio. Come per quasi tutti dogmi principali della Chiesa fu nel Concilio di Nicea (325 d.C.) che vescovi e cardinali, non Gesù, decisero le regole dell’obbedienza sui si fonda l’Istituzione. Così venne stabilito che “le diaconesse, non avendo ricevuto alcuna imposizione delle mani, devono essere computate senz’altro fra i laici”, e quindi non hanno niente a che fare con la gerarchia della Chiesa.
La Chiesa e la paura della donna
In seguito venne stabilito che le donne non potevano diventare diacono se non dopo i 40 anni e attento e diligente esame. La Chiesa (e l’uomo) ha sempre avuto paura della donna e l’ha mantenuta in uno stato di sudditanza per questo motivo.
Cosa significa l’imposizione delle mani? È una pratica della tradizione cristiana e giudaica. Imporre le mani era un atto simbolico che conferiva autorità e benedizione. Gesù impose le mani sui bambini per benedirli e sugli ammalati per guarirli. Una pratica ha l’aspetto di una magia a pensarci bene, dove il toccare la testa con le dita significa “io trasferisco su di te un potere”. Alle donne non si trasferiva niente perché in sé hanno già il potere, quello di cui avere timore. Il potere di dare la vita! Che andava quindi controllato e gestito dagli uomini.
Patriarcato non è solo avere un padre padrone
Oggi non ci si fa più caso. Sembra quasi una cosa naturale che gli uomini possano fare i sacerdoti e le donne al massimo accudirli come suore. Ma se ci pensate un momento è una cosa assurda. Non sono esseri umani gli uni e gli altri? Anche se con caratteristiche fisiologiche differenti? Ma essere fisicamente differenti non può voler dire che lo si debba essere anche culturalmente e politicamente. Per me si chiama “razzismo di genere” ed è anch’esso uno degli aspetti del patriarcato di cui ancora qualche “ignorante” (nel senso letterale del termine) continua a voler negare l’esistenza. “A casa di tanta gente comandano le mogli, dov’è il patriarcato!” (Giuseppe Cruciani, La Zanzara) “Nella mia famiglia sono tutte donne, non c’è patriarcato!” (Giorgia Meloni, pubblicando la foto della famiglia con tutte donne).
Tante persone, disabituate a pensare, a riflettere, a confrontarsi, perché faticoso e perché necessita competenze e studio, preferiscono leggere la realtà in superficie. Non c’è un uomo? Ergo non c’è il patriarcato! È il pensiero debole. È la lettura di pancia della realtà. La realtà è invece complessa e va analizzata con gli strumenti e le conoscenze del caso.
Il patriarcato è nel modo di pensare, di leggere la realtà delle cose
Ma il patriarcato non è solo un sistema di potere reale, fisico, nella storia dell’umanità e con funzioni sociali anche fondate e logiche. È anche un modo di pensare, di leggere e interpretare la realtà. Non c’è più il patriarcato del primo ‘900: con il padre contadino o il padrone latifondista e la famiglia attorno, come i vassalli col Signore del Medioevo. Il patriarcato moderno è il giudizio che la donna sia comunque inferiore, che non possa aspirare a ruoli di comando, che non abbia diritto a livelli salariali uguali all’uomo nelle stesse cariche, è dubitare della sua buona fede se vittima dello stupro di un parente o di un conoscente o di un gruppo di uomini.
È attribuirle provocazioni solo per come si veste. È non poterla lasciare libera di camminare per strada di notte che c’è sempre il rischio di una molestia o di un’aggressione (le nostre periferie). È proibirle di studiare (Talebani afghani). Di guidare l’auto (come in Arabia Saudita per lungo tempo). Di decidere per sé (i matrimoni combinati). Patriarcato è nelle battute delle barzellette misogine, nei termini che al maschile significano una cosa e al femminile significano sempre e solo “puttana” (cortigiano/a, uomo di strada/donna di strada, massaggiatore/massaggiatrice, ecc. come ci spiegò bene Paola Cortellesi a un Premio David di Donatello, anni fa).