Leão come i radical chic: chi non ha argomenti straparla di fascismo
Paolo Di Canio asfalta il milanista, protagonista di una sorta di ammutinamento in campo: e lui, in tipico stile “sinistro”, brandisce la reductio ad Ducem come arma di distrazione di massa
Cos’hanno in comune Rafael Leão, talentuoso attaccante portoghese del Milan, e i radical chic nostrani? A quanto pare, una certa inclinazione per quella che è ironicamente nota come reductio ad Ducem. Che sarebbe l’attitudine dialettica di chi, piuttosto pateticamente, si illude di poter sopperire alla mancanza di argomenti con l’arma di distrazione di massa del fascismo.
Leão vs. Di Canio
È un caso particolare di ciò che in retorica, fin dai tempi di Aristotele, viene chiamato argumentum ad personam. Una fallacia (cioè un errore nascosto nel ragionamento) che consiste nell’aggirare un dibattito attraverso la delegittimazione dell’interlocutore. Come ha fatto, in modo probabilmente inconsapevole, Rafael Leão nei confronti dell’ex collega Paolo Di Canio.
Il casus belli, come riporta il Corsera, è stato l’accenno di ammutinamento, nel corso della partita contro la Lazio, del Nostro e del sodale Theo Hernández. I quali, aggiunge l’Adnkronos, esclusi dall’undici iniziale si sono rifiutati di ascoltare le indicazioni dell’allenatore Paulo Fonseca insieme al resto del gruppo durante il cooling break. Una mancanza di rispetto che, come rileva Il Riformista, non è andata giù all’attuale opinionista di Sky Sport.
«È una vergogna» il pesantissimo j’accuse. «Il mister, i compagni di squadra declassati da quell’atteggiamento… ai miei tempi li avrebbero attaccati al muro e presi a cazzottoni».
Come i radical chic
Ebbene, il calciatore lusitano ha scelto di non entrare nel merito dell’invettiva e di affidare la replica, come riferisce La Gazzetta dello Sport, ai social. Attraverso un post, poi opportunamente cancellato, che riproponeva la celebre foto della storica bandiera biancoceleste nell’atto di fare il saluto romano sotto la Curva Nord dell’Olimpico.
Il messaggio, naturalmente, è che non si accettano lezioni da chi inneggia(va) al Ventennio. Come se il gesto del rossonero non restasse grave a prescindere da chi lo stigmatizza.
È lo stesso errore in cui persevera una gauche caviar che, restando lontanissima dalle istanze del Paese reale, tenta di distogliere l’attenzione dirottandola verso le proprie ossessioni. Crogiolandosi peraltro, come denunciava ancora nel 1974 un intellettuale non certo tacciabile di simpatie mussoliniane quale Pier Paolo Pasolini, in un antifascismo di tutto comodo. «Perché dà battaglia o finge di dar battaglia ad un fenomeno morto e sepolto, archeologico appunto, che non può più far paura a nessuno».
Vale per i politici, per gli intellò e, ora, anche per gli sportivi come Leão. Che comunque, se il rettangolo verde dovesse malauguratamente smettere di dargli soddisfazioni, col suo stile sinistro avrebbe già una carriera assicurata in una formazione di tutt’altra natura. In fondo, dal campo di gioco al campo largo è un attimo.